Nato a Mondovì in provincia di Cuneo,il 27 ottobre 1842, orfano di padre dalla nascita, trova nei quattro fratelli scapoli della madre, validi e amorosi tutori, per la propria crescita culturale.
A soli 19 anni è laureato in legge e sull’esempio degli zii, amici e sostenitori di Cavour, si dedica alla magistratura.
Molto magro, paziente, flemmatico, laborioso, metodico, più legato alle cifre che alle parole, veste sempre di scuro, una lunga giacca nera, da cui il soprannome “Palamidone” il più gentile tra i tanti che gli danno.
Chiamato alla carriera Politica dal Ministro Conforti, rivela subito eccezionali qualità di servitore pubblico. Persino nel felice matrimonio segue il suo metodo: sposa infatti, Rosa Sobrero su consiglio degli zii, e dopo le debite informazioni.
Rosa, una giovane donna alta e vigorosa, senza grilli per la testa e con una discreta dote, non solo condivide l’amore del marito per la montagna e la famiglia numerosa, è una coppia che resta sempre lontana, dalla vita mondana.
Amico di Quintino Sella, Giolitti sceglie per maestro politico Agostino De Pretis, eletto nella Circoscrizione di Dronero entra alla Camera dove, per i primi due anni, ascolta e impara.
Violentemente attaccato da Felice Cavallotti, per la sua laconicità, replica flemmaticamente “Il fatto è che io, quando ho finito di dire quello che devo dire, finisco di parlare.”
La sua nomina a primo ministro, suscita quasi uno scandalo: non proviene dalle glorie del Risorgimento, è un travet, amico di Urbanino Rattazzi, nipote del maggiore Urbano ,segretario generale della Casa Reale.
Anche se non ha l’oratoria di Crispi, è un buon Ministro sa scegliere gli uomini, conciliare le opposte esigenze, rispettare le leggi, principalmente pone l’economia e bilanci pubblici al sommo dei suoi interessi, insomma è l’uomo giusto al posto giusto.
Qualcuno trama alle sue spalle e scoppia,uno scandalo o lo fanno scoppiare, è il gravissimo scandalo della Banca Romana, che sembra travolgerlo per le ingiuste accuse, lancategli contro da Crispi, all’insegna del suo corno antiella agitato come una clava.
E’ Crispi, invece ad essere dentro, fino al collo, nella vicenda, attraverso la giovane moglie e certe sue connivenze mafiose.
Giolitti resta un uomo- chiave più o meno fino al 1920. Lui, che non ama le guerre, per motivi economici dopo la disfatta di Caporetto, si batte perché il conflitto prosegua. Più tardi e senza tanti drammi a parte quelli del Duce, liquida la quadristica impresa fiumana, riconciliando l’Italia con la Jugoslavia, ma, ormai la situazione troppo turbolenta di quegli anni, gli sfugge di mano. Quando Mussolini sale al potere, egli è un vecchio stanco ma, in fondo non deluso. Inviso al Re, forse perché gli somiglia troppo, detestato da Mussolini, che non è riuscito a sottometterlo, né a liquidarlo, si isola nella sua casa di Cavour, dove muore il 17 luglio del 1928, in silenzio e quasi dimenticato da tutti.
Anna Sciacovelli