In questi ultimi tempi il panorama lavorativo ha vissuto una rapida evoluzione che, solo qualche anno fa, sarebbe sembrata impensabile. A cambiare le carte in tavoli è stato, in particolare, l’avvento delle tecnologie digitali, che hanno portato alla nascita di nuove modalità di svolgimento delle attività lavorative, prima fra tutte lo smart working. Un po’ per scelta, un po’ per necessita, sempre più aziende si sono trovate ad adottare modalità di lavoro agile, consentendo cioè ai dipendenti di svolgere le proprie mansioni da remoto, direttamente dal comfort di casa propria. Un cambiamento che ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo il lavoro, portando molte realtà a rivedere le proprie politiche sulla presenza in ufficio e tanti professionisti a concentrarsi maggiormente sull’equilibrio tra vita privata e lavorativa. Ovviamente, non tutti hanno accolto questa novità con lo stesso entusiasmo e ciò emerge anche dalle statistiche più recenti.
Lavoro agile: a chi piace e a chi no
Secondo un’indagine commissionata da ASUS Business ad Astra Ricerche, il 51,2% dei lavoratori attualmente trascorre 2 o 3 giorni a settimana fuori dall’ufficio, abbracciando lo smart working come prassi abituale. Tuttavia, nonostante solo il 6,3% degli intervistati lavori totalmente da remoto, coloro che praticano lo smart working in misura parziale ritengono di vivere in maniera più equilibrata impegni personali e lavoro e sono più soddisfatti delle proprie performance e della propria posizione. Stando a questi dati, dunque, sarebbe proprio il giusto mix tra le due modalità a garantire la massima soddisfazione, a prescindere dal tipo di lavoro svolto.
Se da un lato, infatti, lo smart working offre una serie di vantaggi evidenti, dall’abbattimento dei costi di trasporto alla possibilità di lavorare con maggiore calma, dall’altro emergono anche alcune criticità. Il 47,8% degli intervistati segnala, per esempio, che restare a casa impatta negativamente sul rapporto con i colleghi, generando sensazioni di isolamento, mentre il 69,7% lo associa a una peggiore condizione lavorativa, nonostante le performance non ne siano influenzate.
Gli svantaggi risultano essere più evidenti per i lavoratori più anziani, single o in coppia ma senza figli, mentre i giovani sostengono il contrario, evidenziando la mancanza di occasioni di coordinamento e confronto soprattutto per chi si affaccia al mondo del lavoro. Nonostante ciò, più del 60% degli intervistati si dichiara molto soddisfatto del lavoro da remoto e ben il 48% ritiene che la soluzione ideale sia quella di lavorare da casa al massimo per 3 giorni alla settimana.
Il futuro sarà in smart working?
I dati raccolti all’interno del report mostrano un quadro ancora piuttosto sfaccettato in cui, sia per ragioni anagrafiche che di accesso alla tecnologia, persistono diversi modi di vivere lo smart working e opinioni molto variegate. Definire il futuro del mondo del lavoro non è, quindi, così semplice, ma anzi bisogna considerare molti fattori per capire se effettivamente il lavoro agile e da remoto può essere la strada giusta per tutti. Escludendo, ovviamente, quelle attività che richiedono necessariamente una presenza fisica sul posto di lavoro, almeno a livello teorico la scelta di adottare questa nuova modalità potrebbe sembrare la più sensata, questo anche perché le tecnologie a disposizione sono sempre più efficienti e facili da utilizzare, ma non per tutti sembra essere così.
Nonostante la soddisfazione complessiva, infatti, attualmente solo una minoranza di persone è attivamente impegnata a voler cambiare la propria situazione lavorativa, mostrando comunque una certa stabilità nel mercato del lavoro italiano. Cosa potrebbe portare dunque il futuro? Sicuramente il ricorso al lavoro agile sarà sempre più frequente e aumenteranno le posizioni lavorative full-remote, a maggior ragione visto il desiderio delle nuove generazioni di poter vivere quanto più liberamente possibile senza vincoli geografici, ma molto dipenderà anche dalla capacità delle aziende e degli stessi lavoratori di gestire al meglio questa opportunità.
La possibilità di operare a distanza, infatti, non deve sfociare nel cosiddetto tecnostress, legato a un eccessivo utilizzo dei dispositivi tecnologici, alla perdita di socialità e, addirittura, a un aumento delle ore lavorate dovuto al fatto di essere sempre connessi e raggiungibili. In questo senso, già da tempo si discute dei rischi dello smart working, con tanto di vademecum su come essere più produttivi e adottare delle corrette routine elaborati non soltanto da esperti nel campo del benessere ma anche da chi usa ampiamente la tecnologia anche per altri scopi, come nel caso dei pokeristi online che popolano quotidianamente le piattaforme specializzate e partecipano a tornei di livello nazionale e internazionale organizzati da brand di rilievo come PokerStars, mettendo alla prova le proprie abilità con le carte.
Insomma, in un contesto ancora in forte evoluzione, lo smart working si sta affermando come una prassi lavorativa sempre più diffusa, offrendo flessibilità e libertà ai dipendenti, ma anche sollevando questioni legate alla connettività e all’isolamento. Trovare un equilibrio tra lavoro da remoto e presenza in ufficio diventa quindi essenziale per garantire il benessere e la produttività dei lavoratori, combinando le esigenze individuali con quelle delle aziende, in molti casi ancora poco propense a un’adozione esclusiva di questo approccio.