Una cartella a tracolla, un paio di morbide e solide scarpe, faceva volare verso la scuola la piccola Teresa.Un crocifisso sul muro, dietro la cattedra, una giovane insegnante attenta e sorridente accoglieva i ragazzi di nove anni pronti a volare per altri lidi, era il secondo anno che avevamo la stessa maestra tutto, si svolgeva come al solito Umberto, un ragazzo di nove anni amico di Teresa, riponeva la cartella sotto il banco, mentre sullo stesso, aveva lasciato il libro di lettura aperto su di una pagina che parlava di un episodio curioso, un micio, che si era infilato in una casa e non voleva più uscire.
La cartella sotto il banco, i quaderni sparsi sul piano di studio, l’astuccio delle penne, al suo posto, in attesa di essere usato, con il panno nero, con il quale Umberto asciugava sempre il suo pennino. Il libro di lettura aperto sul banco a pagina venti,presentava una pagina dove un ragazzo si apprestava a lavarsi il volto, mezzo assonnato, di non voler andare a scuola. Lui invece doveva fare colazione, per poi correre a raggiungere la sua compagna di banco Teresa a scuola. Umberto quel giorno aveva solo voglia di tornare a riavvolgersi nel tepore delle coperte e restare a casa a guardare il soffitto ancora per qualche ora. La poca voglia di andare a scuola era dovuta a una sonnolenza accumulata il giorno prima, la sveglia era suonata alle sei, ma lui sin dalle quattro aveva giocato con un micio, sconosciuto il quale si era intrufolato in casa sua, quasi all’alba, l’orologio non segnava ancora le quattro, con il suo miagolio lo aveva destato, a quell’ora, ed ora era stanco ed assonnato per non aver riposato a dovere, rivolto alla gattina la chiamò Schiappa.
“Sei una schiappa”, disse seduta stante decise di tenerla con sé dividendo la sua cameretta, ma non il suo letto, avrebbe approntato un lettino di stoffa decente e morbida per la piccola micia, che si accontentava di tutto e di chiamarla Schiappa, il suo un amore a prima vista, un pelo morbido due vibrissi lunghi e neri, due occhi indagatori, di un grigio cangiante, un naso quasi invisibile la rendevano unica, una coda pelosa e lunga che strisciava per ogni dove, sembrava una scopa vivente, che lo faceva tanto ridere, decise di tenerla. Un amore nato a prima vista, corrisposto appieno da Umberto, che doveva affrontare la ritrosia della madre, che non amava avere animali per casa. Erano passati circa otto anni, dal suo primo incontro con la padrona di casa la piccola micia, aveva capito la poca volontà della padrona di casa di tenerla e si nascondeva ancora dietro l’ombra di Umberto, quasi una paura ancestrale la sua, cercava di minimizzarsi dietro la poltrona del salotto, oppure all’angolo del grande divano del soggiorno. Spesso Umberto, per redigere una perizia di costruzione o di ricostruzione.
Era passato tanto tempo, da quando Schiappa, si era insediata nella sua casa, nel frattempo, il ragazzo, aveva un diploma da geometra e si apprestava a prendere la laurea di Architetto nell’arco di tutto quel tempo, due nidiate di gattini erano stati distribuiti in giro per la città di Torino, i quali avevano rallegrato diversi anziani soli o senza nipoti.
Schiappa, era diventata la padrona di casa, sapeva a memoria il posto dove fare i propri bisogni e si comportava come una vera gattina, con la zampa si lavava il viso e i vibrissi, sbadigliava quando era annoiata, spesso giocava a palla con se stessa.
Con Umberto c’era una perfetta intesa bastava un colpo di tosse perché la gattina si gettava a capofitto nella sua cuccetta e non si muoveva se una persona estranea entrava nella stanza di Umberto. Lei si aggirava nello studio pieno di curiosità, guardando disegni, schizzi, annusava la creta ancora bagnata, dandogli poi una zampata, quasi a voler lasciare la sua firma, con grandi urla di Umberto, allora spariva e non si faceva vedere per circa due giorni. Un giorno si levò il Maestrale e spinse dal mare verso terra le nubi gravide di pioggia, i tuoni facevano tremare l’intera struttura della casa, la grandine batteva contro i vetri delle finestre quasi che i grossi chicchi volessero entrare nelle stanze, Schiappa impaurita si nascose, il temporale generava paura non solo in lei, ma in quasi tutti i presenti. La mamma di Umberto, prese tra le mani una corona e iniziò il rosario sottovoce, timorosa, della tempesta, che squassava la casa. Presto arrivò sera scemato il forte temporale, ma di Schiappa non si vedeva l’ombra, Umberto era preoccupato, la cercò per ogni dove senza trovarla, lasciò stare la ricerca aveva da terminare un progetto già a buon punto. Per quella sera non poteva tralasciare quel lavoro, doveva rispettare, l’impegno preso con il capo ingegnere, doveva presentare il completamento finale del progetto, di una cappella. Si mise di buona lena e appena terminato il lavoro, si recò all’appuntamento consegnando il progetto. Tornato a casa, cercò inutilmente la gatta, guardò ovunque non c’era, il mattino dopo la trovarono morta nella vaschetta della fontanella, avevano perduto una persona di famiglia.
Senza farsi vedere, pianse come un bambino, che ha perduto la sua palla nuova.
Anna Sciacovelli