Per secoli, emigrare dall’isola di Murano, era molto pericoloso, chi si allontanava dall’Isola, senza permesso, del Doge,perdeva il diritto di rientrare, ne seguiva la confisca dei beni materiali, come la casa, la barca e altri averi a volte si rischiava la morte.
A poco più di due chilometri da piazza San Marco era ed è ancor oggi custodito un immenso tesoro dal valore inestimabile, l’arte della lavorazione del vetro.
Un patrimonio costituito dall’esperienza centenaria dei maestri vetrai cresciuti tra il fuoco, i fumi e il calore della fornace, tramandato, da padre in figlio, un soffio di vita trasmesso dal maestro all’ allievo.
Un sospiro di vita importantissimo, per l’economia della Repubblica Veneta che non ammetteva la dispersione sia delle maestranze, sia la divulgazione delle tecniche, per la divulgazione delle basilari nozioni e realizzazioni della lavorazione del prezioso vetro affinchè la Serenissima non perdesse i suoi rinomati Maestri vetrai.
Il mestiere dei vetrai era tenuto in grande considerazione ed era vincolato da regole precise norme, perentorie, con le quali Venezia, si assicurava il controllo politico ed economico dell’Isola di Murano, impedendo a chicchessia la divulgazione del segreto legato a quel mestiere.
A quest’arte fragile e alchemica Murano è legata da un” fil rouger”, che sopravvive ancor oggi.
La storia del vetro affonda le radici nel vecchio Oriente, dove i vasai lo avrebbero “creato” durante la cottura di vernici composte da sabbia silicea. La tecnica e l’uso erano già conosciuti dagli Egiziani nel IV millennio avanti Cristo, mentre ai Romani si fa risalire la tecnica della soffiatura usata per la prima volta intorno all’anno Mille, grazie ai continui rapporti tra Venezia e l’Oriente, l’arte del vetro “sbarca” nella Città Lagunare. I preziosi Manufatti realizzati a Venezia diventano il fiore all’occhiello di Venezia, le sue attività commerciali diffuse in tutta la città, le cui case all’epoca in legno aumentavano il rischio d’incendi. Nel 1291 i maestri vasai furono obbligati a lasciare Venezia per trasferirsi obbligatoriamente, nella vicina isola di Murano la decisione fu presa dal Consiglio dei Dogi, tutto questo garantiva una doppia sicurezza, tutelare l’arte vetraria circoscrivendone l’attività e proteggere Venezia dai continui incendi.
I forni accesi ventiquattr ore, su ventiquattro durante la lavorazione, riscaldati ogni due minuti dove la pasta di vetro viene stirata per dare una forma allungata i maestri vetrai devono soffiare nella cannula, prima che il vetro si raffeddi, viene nello stesso tempo data una parvenza di sagoma, una volta sagomata si dà con gli attrezzi la forma finale gli attrezzi per la soffiatura sono tutti modellati a mano con legno di pero.
L’anima del vetro prende forma con pochi srumenti, ma tanta tanta destrezza dei maestri vetrai .Spesso, si assiste alla pulizia dei forni e al ricambio delle sabbie e dei minerali per l’utilizzo dei nuovi colori.
Il vetro ha circa 180 tonalità diverse, ottenute con dosi e formule segrete, custodite nei laboratori, il chimico della fornace,è il depositario di questi misteri e deve conoscere molto bene gli ingredienti e la quantità di elementi da mescolare senza sbagliare il dosaggio I colori hanno nomi particolari per creare l’effetto materico della superficie vengono usati dieci colori diversi soffiati e poi frammentati. A Murano il palazzo Giustinian fondato nel 1861 splendido edificio dell’XVII, antica sede Vescovile, oggi ospita il museo dell’arte Vetraria, il percorso museale è un’importante viaggio nella storia della lavorazione del vetro e dello sviluppo delle tecniche, unico nel suo genere in Italia.
Anna Sciacovelli