I ricordi scorrono tra le pieghe della quotidianità e diventano mulinelli d’acqua nella mente.
In quei momenti tutto sembra fermarsi è una sorta di pellicola filmica, che ti ricorda una storia vissuta.
Avevo i miei sette anni,la guerra mi aveva portata, lontana dalla mia città, la piccola comunità, era raccolta presso la chiesa matrice di Grumo, il palazzo del Municipio, le Guardie Campestre, i Vigili Comunali e i Vigili del Fuoco.
Una piccola piazza separava le diverse strade circostanti dalla campagna.
In periferia faceva bella mostra di sé una vecchia casa rossa detta del Casellante, dove dietro aveva un fienile diroccato, era il punto più lontano della cittadina, in quella casa quasi solitaria viveva una famiglia con un bambino di nome Simone, qualcuno vociferava, che fosse sordo invece il piccolo Simone non era sordo ma cieco, la sua cecità era dalla nascita.
Spesso il ragazzo indossava un grande cappello nero per ripararsi dal sole. Spesso si vedeva attraversare il Paese da solo, senza timore, spesso il suo passo strascicato e lento lo si sentiva da lontano nel silenzio assolato della controra.
Un giorno uguale ai tanti, nell’assolata piazza si fermò un grosso cane era un San Bernardo, dal pelo nero si vedeva che si era smarrito e che non aveva padroni, era libero di girovagare dove voleva, ma non trovava pace.
Simone accarezzandolo capì al volo che non era un piccolo cane anche perché faticava molto per tenerlo a bada. Dopo averlo palpeggiato per conoscerne l’altezza e il peso lo chiamò Ralf.
Erano tempi del fascismo e si temevano ritorsioni, tempi confusi, che bastava una piccola scintilla per accendere un falò.
Ogni mattina i braccianti attraversavano la piazza per raggiungere i campi, con le vanghe e pale sulle spalle, una fila vociante di uomini marciava lenta e tra questi anche Simone, con il suo cappello nero.
Un giorno il ragazzo dal cappello nero si fermò davanti a casa mia per sistemarsi il laccio di una scarpa, lo salutai chiamandolo per nome, mi rispose solo con un sorriso. Poi emise un lungo fischio dalle sue labbra e improvvisamente apparve il grosso cane, che gli si avvicinò leccandogli le mani.
Allora Simone si tolse la cintura dai pantaloni e la mise al colle del cane, la bestia lo lasciò fare senza muoversi, scodinzolando solo con la coda, era contento, di aver trovato un padrone, che aveva una casa dove rifugiarsi.
Poi il cane prese la via della casa rossa e Simone si mise a seguirlo tranquillo, sulle strade invece, torme di uomini vivevano giorni di rivolta e guerriglia partigiana. Un giorno prima di assentarsi per un breve periodo il Capo disse agli uomini di tenere in casa i propri figli per evitare che fossero colpiti da frammenti di vetro, annunciando che tra pochi giorni si era certi, sarebbe saltata in aria la polveriera degli alleati.
Simone di tutto questo, era all’oscuro, sarebbe andato a giocare come sempre, alle spalle della polveriera allo slargo grande, il “si dice” non avrebbe impedito le sue e le corse del suo protetto.
Quella mattina alle nove, i due amici erano già in strada e correvano, il cane, faceva da guida come poteva verso al polveriera.
Simone, con una lunga corda, tratteneva la libera corsa del cane, a circa dieci metri dalla polveriera decise di fermarsi, era sudato e voleva asciugarsi il viso dal sudore, aveva appena preso il fazzoletto, quando un boato tremendo scosse l’aria, cadde pesantemente sul cane spezzandogli la spina dorsale, i gemiti del cane superarono i botti della polveriera, che per circa venti minuti continuò a brontolare spargendo schegge di vetro per ogni dove.
Simone, ebbe salva la vita grazie al sacrificio del suo cane.
Anna Sciacovelli