Il giorno della Fiera quindicinale del Paese, cadeva di solito il giorno di sabato, chi esponeva alla Fiera paesana, doveva alzarsi presto, per raggiungere il proprio posto senza dare fastidio agli altri venditori partecipanti. Quel giorno, Gianpaolo era calmo e sorridente mentre guidava il camion, che sobbalzava più del solito sulla strada sterrata e piena di buche, che attraversava tutto il paese, in quel tratto il padre di Savio diceva sempre: ”Signore e Signori, ora inizia il ballo di San Vito”, la sua voce da baritono rintronava nel silenzio della strada. Tutti i presenti grandi e piccoli ridevano, perché la realtà superava di molto il suo dire. Erano solo mille metri di terra sterrata, ma bastavano per sconvolgere lo stomaco dei più piccoli nel quale da poco, avevano introdotto la colazione con taralli latte e caffè d’orzo. Talvolta qualcuno lo rigettava ampiamente. La piazza adibita alla sosta, si presentava ampia, assolata e pulita, si occupava posto, si piazzava il camion, di traverso, che diventava banco di lavoro, tavolo e cassa, nello stesso tempo. Nella cabina di guida erano piazzati i due gemelli, i più piccoli, che a volte, dormivano ancora, mentre noi i più grandicelli si sbrigava alcuni piccoli compiti, come separare cesti diversi, tra bottoni, nastrini e preparando quelli con i merletti, colorati i grandi canestri con centri e pizzi, lavorati a filèt, lavori con l’uncinetto, creati dalla mamma o dalla nonna che sapeva lavorare, centrini e tovaglie anche in pregiato e ricercato pizzo macramè, “che costava un occhio diceva la nonna”. Nonna Lucia, lavorava quasi tutto il giorno, il suo unico compito in casa, era il momento del pranzo, che soleva fare sosta e subito dopo un breve pisolino, poi continuava a fare andare, le sue nervose mani con il chiacchierino o con il sottile uncinetto per il macramè. Spesso nei pressi della casa di Biagio, si fermava un piccolo bastardino, al quale nonna Lucia, dava qualche osso o qualche avanzo di cibo, a volte il cane si accucciava e sostava lì anche per diverse ore presso la casa, mentre lei faceva andare il fuso o l’uncinetto. Quando terminava il giorno della fiera, Biagio tornava a casa cantando o fischiettando perché era riuscito a raggranellare un po’ di denaro, per sbarcare il lunario, tutto questo avveniva ogni quindici giorni. Nella casa vi era quel silenzio monacale, il giorno della Fiera, era la gioia di nonna Lucia, che non si stonava dalle tante chiacchiere dei piccoli, il suo lavoro manuale continuava per quasi tutta la giornata, non si fermava un attimo di lavorare, alla fine della stessa, faceva un bilancio positivo, cesti colmi di nuovi lavori effettuati in quel periodo di un semplice giorno. Quel giorno Biagio, aveva venduto quasi tutto quello che aveva portato da casa, nei cesti erano rimaste piccole cose, mentre aveva ricevuto diverse richieste, cinque metri di pizzo antico, per un lenzuolo matrimoniale e pizzo macramè per una coperta dalla moglie del vicesindaco del paese, la quale per il cotone aveva anticipato una bella sommetta. Felice per questa nuova richiesta, Biagio abbracciò forte la moglie, alle 13,00, decise di rientrare a casa, rifecero il tragitto all’inverso ricordando e ridendo di quel ballo di San Vito, sulla strada del ritorno. “Signore e signori stiamo per atterrare con il nostro trabiccolo” e il camion in quel mentre entrava scoppiettando nel cortile della casa, dai muri uguali al colore dei tetti. Appena balzati a terra, i bambini senza lavarsi le mani, si diressero in cucina il profumo del ragù era nell’aria, l’appetito stuzzicava lo stomaco e li faceva sbadigliare, un po’ per stanchezza, un po’ per fame. Quando videro il cagnolino fermo vicino la porta di casa, iniziarono a girargli intorno battendo le mani, il cucciolo si spostò un po’ e riprese a dormire tranquillo. Fu approntato il pasto, si mangiò in allegria, mentre la figlia Rosa confidava alla madre il gruzzoletto raggranellato dalla vendita dei merletti e dei bottoni con gli strass. La madre dal canto suo, prese dal cesto i lavori terminati quel giorno, ringraziando il signore, che le dava la possibilità di lavorare ancora. I ragazzi sull’aia, si misero a scorazzare su e giù, inseguendo le grandi nuvole, mentre le galline starnazzavano, spaventate, mentre nonna Lucia Urlava dicendo: “Che le galline non avrebbero dato le uova per sette giorni e loro non avrebbero avuto la merenda con la frittata”. A quelle parole, già si alzavano le voci del lamento, poi tutti a tavola con il benestare del padre, dopo essersi lavato il viso e le mani. Il riposo del pomeriggio di quel sabato era d’obbligo, mentre la madre cercava il filato da usare per il pizzo Macramè ordinato dalla moglie del sindaco. La donna aveva bisogno di raccogliere le idee per iniziare quel delicato lavoro, che a suo parere non andava trascurato. Nonna Lucia, quel giorno aveva accolto il cane in casa mettendolo in un grande cesto considerato, che spesso restava sola nella grande e vuota casa, almeno così avrebbe avuto un po’ di compagnia. I ragazzi lo avevano accettato e spesso si facevano rincorrere tirando la palla verso il cesto, che lui pronto agguantava con i denti e proseguiva la sua corsa, nascondendola nel grande cesto. Si avvicinava il nuovo giorno di Fiera, i bambini decisero di portare con loro il cane pensando, che si sarebbero divertiti all’ingresso dell’area della fiera videro il carro dei vigili con l’insegna dei cani sullo sportello anteriore e non immaginavano che erano i vigili del Canile Comunale che raccattavano cani randagi, all’improvviso una lunga canna con un nodo scorsoio agganciò la testa del cane che inizio a gemere cercando di liberarsi inutilmente si divincolala mordeva la corda annaspava cercando un appiglio inutilmente. Sembrava una “Danza selvaggia”.
I Vigili portarono via il cane, con grande rammarico di tutti, ma con la promessa, che il padre il giorno dopo sarebbe andato per farlo liberare e riportarlo a casa.
Anna Sciacovelli