Una degli argomenti sul tema lavoro che più tiene banco riguarda i congedi parentali. Una diatriba che in Italia va avanti da anni e che, soprattutto nell’ultimo periodo, si è accesa non poco per via delle leggi più elastiche varate nei vicini paesi europei. Al di là della normativa vigente, un ulteriore problema è la scarsa conoscenza dell’argomento per i neogenitori, i quali dovrebbero essere informati sui loro diritti dal reparto delle Risorse Umane o dagli organi competenti.
Per fare chiarezza, in questo articolo vedremo in cosa consiste il congedo parentale, a chi è rivolto e quali sono le agevolazioni di cui si può disporre secondo la più recente normativa.
Cos’è il congedo parentale
Il primo punto da cui partire e che spesso molte persone confondo, è la distinzione tra congedo parentale e maternità. Il primo è un diritto che spetta ad entrambi i genitori mentre la maternità è una tutela legislativa inerente solo alla donna, eccetto casi al limite, essendo colei che affronta la gravidanza.
Avvalendosi del congedo parentale, secondo il Dlgs. 151/2001 e le successive modificazioni, i genitori hanno la possibilità di astenersi per un determinato periodo dal lavoro, accettando la diminuzione o l’annullamento della propria retribuzione. Il posto di lavoro e tutti i diritti ad esso legati sono quindi conservati per tutta la durata del congedo. L’astensione dal lavoro è possibile fino al compimento del dodicesimo anno d’età del figlio e per tutti coloro che decidono di adottare un figlio. Nel caso specifico, i termini sono differenti. Il congedo è possibile entro gli 8 anni dall’arrivo del bambino in famiglia e non oltre i 18 anni dello stesso. In entrambe le ipotesi la legge impone il divieto assoluto di licenziamento da parte del datore di lavoro.
L’iniziativa si inserisce nel più ampio contesto delle tutele messe in essere dall’ordinamento in favore delle donne, nello specifico per ciò che riguarda le pari opportunità sul lavoro, la salvaguardia dei diritti della famiglia e dei diritti e doveri dei genitori convalidati dagli art. 29 e 30 Costituzione.
Il datore non rispetta la legge
Qualora il datore di lavoro non dovesse adeguarsi alla normativa vigente ed il lavoratore o la lavoratrice dovessero riscontrare problematiche riguardanti il periodo di astensione come un rifiuto, mancati pagamenti o il licenziamento, il dipendente è nella condizione di poter fare causa al proprio datore. In questo caso sarà necessario affidarsi ad un avvocato specializzato nel diritto del lavoro, essendo questa una tematica ampia e dettagliata con riferimenti specifici. Essendo una materia trattata da un numero esiguo di professionisti, la ricerca del legale può avvenire online digitando nella barra di ricerca “assistenza legale congedo parentale” oppure “avvocato del lavoro congedo parentale”.
Giorni di congedo e indennità
Entrando nel merito delle tempistiche, le stesse variano hanno una durata variabile. Se a fruire del congedo parentale è solo la madre si avranno 6 mesi di congedo a disposizione da richiedere una volta terminata l’astensione obbligatoria dal lavoro. Nel caso del padre, invece, saranno 7 i mesi a disposizione successivamente alla nascita del figlio. Tali periodi non devono essere obbligatoriamente usufruiti in un’unica soluzione ma, volendo, essere richiesti in maniera frazionata. I giorni di ferie, malattia, riposo e i festivi non vengono imputati nel calcolo finale.
I riferimenti giuridici riguardo l’indennità sono sanciti dall’art. 9 del D.Lge. 80/2015. Fino al compimento del sesto anno del figlio si ha diritto ad una retribuzione media giornaliera del 30% fino ad un massimo di 6 mesi. Fino agli 8 anni del figlio spetta ai genitori un’indennità sempre del 30% ma solo nel caso in cui il reddito individuale risulti essere inferiore del 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione. Dagli 8 ai 12 anni è ancora permesso ai genitori avvalersi del congedo parentale ma la legge, durante tale periodo, non prevede nessuna indennità.