Ondina, un nome, che fa sognare le onde del mare, che con il loro continuo moto ondoso, trasportano sulla sabbia in riva al mare, o su scoscese rocce, relitti inerti, lasciando il materiale di risulta, là dove, tutto è statico e fermo. Lei, invece evocava un’onda, in continuo movimento, quasi il presagio di una vita, che evapora e si eleva, dinanzi alla staticità di una montagna. Il suo nome bizzarro, era Trebisonda, il vezzeggiativo, Ondina, postale dal padre, il giorno di quel 20 maggio 1916, che la vide nascere, a Bologna, da un padre che vagheggiava la turca, Trebisonda come la capitale di tutte le meraviglie del mondo. Un nome, dunque da assimilare a una calviniana città invisibile.
Il talento di Ondina Valla, per contro era visibilissimo, sontuosamente dotata dalla natura, per la corsa veloce e i salti, primeggiava tra tutte le italiane di regime, tanto che a soli tredici anni, nel 1929, subito eletta dal fascismo, ansioso d’icone, che confermavano la supremazia della razza italica, elevata a dea, con “il sole in un sorriso “.
Poi, che sia una sportiva a fare grande quell’Italia dove Mussolini impone di circoscrivere il destino femminile essenzialmente all’identità biologica della procreazione può meravigliare, considerato perché a essere esaltata, nel suo caso, è una fisicità fatta di forza, rapidità e destrezza, ma il regime ha fame di eroi, e comunque Ondina Valla resta un caso davvero isolato. Il fascismo per lo sport significa un’attenzione particolare strutture tempo e accurati programmi di allenamento soprattutto in vista d’impegni internazionali in cui il paese che pretende di dare del tu alle superpotenze e di sedersi al tavolo dove si decidono i destini e le spartizioni del mondo non può sfigurare. Così protetta e privilegiata dal regime Ondina Valla ottiene risultati sempre più lusinghieri in varie specialità: corsa piana, a ostacoli, salti.
E il suo giorno di gloria sboccia il 6 agosto del 1936.
Sono le Olimpiadi di Berlino quelle organizzate da Hitler per celebrare la potenza di una Germania dominatrice e che invece faranno conoscere al mondo un atleta americano di colore: Jesse Owens. Ondina Valla ha scelto la specialità degli 80 metri a ostacoli. I risultati delle semifinali in cui le è riuscito a eguagliare il record del mondo di 11,6 le hanno dato ragione.
Sulla pista dell’Olimpiastadion, la finale è mozzafiato: insieme a Ondina arrivano sul traguardo altre tre atlete. Occorre la verifica del fotofinish, che all’epoca si chiamava, zielzeitkamera.
Il trionfo di Ondina, già avvertito a occhio nudo, è netto: il suo tempo di 11,7 le accredita sessantuno centesimi di vantaggio, sulla seconda, la tedesca Steruer. Piuttosto, la delusione è per l’altra italiana, Claudia Testoni, avversaria di sempre della Valla, che passa dalla gioia della terza posto all’amarezza del quarto che le toglie il bronzo, finito invece alla canadese Taylor.
Se la Testoni avrà come consolazione, il titolo europeo di due anni dopo e come vendetta assai poca sportiva, la decisione di togliere il saluto a Ondina, la Valla continuerà a gareggiare a livelli di eccellenza ancora a lungo, ormai preceduta dalla gloria di unica medaglia d’oro olimpica femminile e comprimatista mondiale con quegli 11,6 ottenuto alla presenza di vento ma comunque valido, perché risultati ventosi più due metri il secondo, all’epoca erano omologabili. Nel suo curriculum di atleta eletta da straordinarie doti naturali, ci sono anche numerosi titoli italiani: sei sugli ottanta ostacoli, due sui 100 metri, uno sui sessanta, uno di staffetta 4×100, cinque di salto in alto e uno di salto in alto da fermo, (disciplina ormai scomparsa) infine, a conferma del suo eclettismo, un trionfo nel pentathlon, nel 1935.
Ondina Trebisonda muore nella città di Acquila nel 2006.
Anna Sciacovelli