Un quadro più completo sulle arti, tra la prima e la seconda guerra mondiale, c’è dato da molti elementi primari, non conflittuale, ma nemmeno integrate nello Stato.
Molte gallerie private, hanno avuto il privilegio di tenere a ridosso un circolo privato, in Italia imperava il collezionismo, alcuni gruppi di giovani artisti, spesso riuscivano a sfuggire al controllo voluto dalla coercizione politica, trasferendo le loro piccole botteghe d’arte, nelle sottoscale di antichi palazzi denominandoli circoli ricreativi per giovani, dove all’ingresso, imperavano tavolini, con tutte le qualità di carte da gioco allora in uso.
Giuseppe Bottai Ministro dell’Educazione, avrebbe avviato alla fine del decennio, un piano innovativo in grado di riformare il rapporto tra lo Stato Fascista e i diversi interlocutori, di un sistema moderno delle arti, al fine di contenere gli stimoli di cambiamento, le continue richieste dei giovani, sia sul piano organizzativo, che su quello lavorativo e linguistico.
Nel ventennio fascista, l’immagine del corpo e del volto di Mussolini, fu sottoposta a un’eccezionale trasformazione e trasfigurazione, allo scopo di creare una vera e propria icona del Potere.
Onnipresente e pervasiva nell’immaginario collettivo, estesa alle arti figurative, al cartellone, ai monumenti e al cinema divenendone una variante, nel mondo di come si potesse rappresentare la sua immagine, in ogni forma tanto, da stupire il mondo del lavoro e delle stesse arti.
Le sembianze del volto del Duce, erano presenti nelle Mostre Internazionali a Parigi nel 1925, a Colonia 1928, a Barcellona nel 1929 e a Berlino nel 1930, nelle versioni più strane con la falce a tagliare il grano, con l’elmetto a combattere o con il casco di aviatore a pilotare un velivolo.
La sua figura, fu ridicolizzata in special modo nel 1930, esibita alla biennale di Venezia la famosa immagine equestre del Duce, ridicolizzata e presa di mira, dal dadaista John Heartfield, insieme ai futuristi Thayath e Prampolini in primis.
Un’iconografia di Mussolini, dettata da Marinetti nel 1929, questa e altre effigi apparvero nella XVII biennale di Venezia, quando fu promosso il Partito Nazionale Fascista.
Margherita Scarfatti, asseriva invece, che solo la fotografia bastava a documentare e a elogiare la prestanza del Duce e che i ritratti, sminuivano la sua stessa figura leggendaria.
Nell’Istituto luce invece, erano sperimentate nel 1935, i montaggi fotografici di Mussolini, iniziavano a girare i fotomontaggi dovuti alle esperienze, delle avanguardie tedesche e sovietiche, un modo innovativo di onnipresenza, dal punto di vista artistico.
Nella rivista “Illustrazione del Medico” del 1936, ritroviamo una foto della piramide di Giza, insieme a un’enorme effige di Mussolini, scolpita in un masso di pietra nella Città di Adua, nella colonia africana Abissina, opera anonima di soldati artisti, richiamati alle armi.
Le moderne arti visive furono rivalutate e con le emanazioni di leggi adatte, per la formazione e la norma del Sindacato Nazionale delle belle arti.
L’idea di approntare e organizzare una nuova quadriennale, fu un fallimento e si decise allora di lasciare in atto una biennale, la prima interregionale, che rappresentasse il riconoscimento ufficiale, delle potenzialità delle nuove generazioni.
Più delle fotografie documentarie dell’istituto Luce e dei ritratti fotografici di Gutta Carrell, sono i fotomontaggi a connotare l’immagine del Duce in ogni dove trovando, nella ripetizione costante quell’onnipresenza, visualità, che in realtà non c’era.
Il sostegno al settore espositivo, allo sviluppo dei prodotti italiani, fu un mezzo importante per diffondere un’immagine moderna del regime, favorendo nello stesso tempo, gli interessi commerciali all’estero delle Aziende Nazionali.
La tattica del Governo fascista, era di essere onnipresente e all’avanguardia, sulla scena mondiale, con una produzione industriale e manifatturiera sempre in primo piano, tutta questa presenza, incontrò l’adesione e l’ambizione di diversi Enti, preposti allo sviluppo di tutte le attività e prodotti.
Gli stessi, non si chiusero a cerchio, ma con un gruppo di nuovi progettisti e artisti, sensibili alle innovazioni, diffusero e aggiornarono la loro produzione, approfittando in quel momento, della massima pubblicità e spazio a loro concesso.
Nell’agro Pontino – Romano, nascono le Città Nuove, Littoria, Sabaudia, Pontina, Aprilia e Pomezia, in virtù di tutto questo fermento, fu bandito un concorso per i giovani sul tema “Si fondono le città” a vincere il concorso fu Afro Basaldella, che si distinse con il quadro dedicato alla posa in opera della prima pietra, mentre l’artista Luigi Vettore ambientò l’opera, l’Africa, impiegando un linguaggio neoprimitivo.
Non possiamo tralasciare i murales dell’artista Alberto Savino, che per quinta triennale di Milano nel 1933, si distinse con “L’africa Italiana”, entra in scena l’artista Giorgio De Chirico, Mario Sironi, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Negrin, Marcello Nizzoli Gigi Chessa, Gigi Levi di Montalcini e Aldo Morbelli, molti sono i giovani artisti, che si affacciano alle finestre spalancate delle fiere di Milano e di Torino dal 1920 al 1940.
Sulla scena della vita artistica si affaccia Tullio Garbari, nel 1931, Atanasio Soldati, nel 1932, Casilij Kandischij, nel 1934, Corrado Cagli nel 1935, Libero De Libero, nel 1938.
Le varie esposizioni, dedicate alle arti decorative e ad alcuni settori industriali e merceologici, fecero nuove leve nella creatività della moda, Gio Ponti, elaborò un nuovo menabò per l’estate 1940, Enrico Aiuti, presentò la decorazione della vetrina artistica, nella ditta denominata “Italviscosa”, V, dal 21 di ottobre-sino a tutto dicembre del 1929, quasi come una costruzione architettonica” o quadro pittorico”, mentre Richard Ginori, su disegno di Gio Ponti, realizzava un vaso con decoro “La sirena prolifica” nell’anno (1929-1930).
Nel 1933, non possiamo tralasciare la radio Carlo Manzoni, che nella pubblicità in “almanacco letterario Bompiani” parla degli artisti che si affacciano alle nuove esperienze, “Copertina di figura”.
Da non dimenticare, la presenza dell’artista Alberto Savinio con l’affresco “Africa Italiana” per la Quinta triennale del 1933, che affrontava con Giorgio De Chirico, il lavoro per la quinta triennale di Milano, il clima era particolarmente propizio, per provare e sperimentare, le nuove materie, da non sottovalutare i procedimenti innovativi, di produzione in serie.
Alla stessa trovarono spazio e parteciparono altri artisti emergenti quali: Morandi, Bartolini, Renato Guttuso, Renato Birolli, Dino Basaldelli, Aligi Sassu e Lucio Fontana. Le nuove Firme avrebbero lasciato nel tempo, un segno indelebile.
Anna Sciacovelli