Almicare Meneghel, maestro di scuola e di musica, fu il primo e il più determinato tutore del suo talento, dopo averla accompagnata all’organo nella chiesa di Mogliano come voce solista nell’Ave Maria di Schubert, non esitò a trasferire l’intera famiglia a Venezia per permettere alla sua bambina di studiare al conservatorio di Musica “Benedetto Marcello” di quella città.
Ma, dopo aver frequentato il corso di pianoforte, Antonietta dovette interrompere gli studi proprio alla vigilia del diploma finale: fu colpita da quello che viene definito “il crampo” dei pianisti, forse causato da una cattiva impostazione tecnica, oppure, più probabile, dalla piccolezza delle mani che troppo si dovevano allungare per toccare tutti i tasti del piano.
Dopo mesi di disperazione dell’intera famiglia, Almicare lo accompagnò per un’audizione da Barbara Marchisio, famosa allieva di Gioacchino Rossini, la quale, incantata e impressionata da quell’estensione di voce, divenne sua maestra di canto per quattro anni a Mira, vicino a Venezia, in estate e a Roma in inverno, naturalmente gratis per le difficili condizioni economiche della famiglia.
Antonietta debuttò alla Scala appena diciannovenne, come Biancofiore nella “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai. Seguirono alcuni anni di gavetta, sempre in ruoli di secondo piano in Italia e in America.
Le arrivò lì un telegramma di Arturo Toscanini: il maestro che l’aveva sentita, lei giovanissima, in un concerto di Conservatorio, non l’aveva dimenticata e la voleva come Gilda in un nuovo allestimento dell’opera “ Rigoletto”.
L’opera andò in scena alla Scala il 14 gennaio del 1922; con lei erano nel cast il baritono Carlo Galeffi e il tenore Giacomo Lauri Volpi, per la prima volta, si esibì col nome d’arte, di Toti dal Monte: Toti era il diminutivo con cui alla veneta era chiamata in casa, Dal Monte era il cognome della nonna materna.
Se in precedenza era stata incerta tra il ruolo di soprano lirico e quello leggero, proprio in quell’occasione scelse definitivamente quest’ultimo.
Fu confermata per dieci stagioni concertistiche alla Scala, cantando contemporaneamente nei maggiori teatri europei del Nord, dell’America meridionale, dell’Estremo Oriente, dell’Australia.
Toscanini, la volle nella trionfale, mai dimenticata tournèe in Germania del 1929.
Toti sposò in Australia il tenore Ezio De Muro Lomanto, presentatore il Maestro Toscanini, dal loro matrimonio, terminato con una separazione nacque Maria attrice di Prosa col nome d’arte di Maria Dolfin. Anche Toti, nel secondo dopoguerra, dopo aver abbandonato le scene liriche recitò Goldoni nella compagnia di Cesco Baseggio .
In vecchiaia , fu consulente nei conservatori e nei teatri dell’Unione Sovietica, oltre che insegnante di canto e di recitazione.
Un continuo trionfo nelle vesti di Rosina, Gilda, Amina,Linda; fu una memorabile Lucia di Lammermoor: accadde che, terminata una recita di quell’opera- suo comprimario con Tito Schipa- già cambiata in camerino, sia stata costretta a rivestirsi e tornare in palcoscenico per gli applausi, che il pubblico non smetteva di tributarle.
E ancora per l’incanto sia scenico che vocale dell’aria della pazzia Toscanini non seppe trattenere le lacrime; è noto che in genere era lui che faceva piangere orchestrali e cantanti con il suo difficile carattere.
La voce di Toti Dal Monte, determinava nel pubblico quello stato di rapimento descritto dai diaristi del romanticismo. C’era nel suo puro smalto come un velo appena avvertibile di maestria, un non so che di virginale, insieme già intimamente sofferto che rendeva i suoi personaggi, creature viventi sotto un cielo di favola.
Di quelle eroine, con immacolato abbandono, esprimeva gli ardori e i sacrifici, gli affanni e le rimembranze. All’inizio delle arie il pubblico non aspettava portenti di virtuosità, ma piuttosto paradisi perduti che avrebbe rivelato quell’angelico canto.
Anna Sciacovelli