La globalizzazione sta già da qualche tempo cambiando il nostro modo di vivere, lavorare, consumare, trascorrere il tempo libero. In silenzio, quasi in punta di piedi, si è ritagliato un ruolo da protagonista nella politica e nella società dei singoli paesi. Soprattutto è entrata nella vita quotidiana dei cittadini. La liberalizzazione progressiva degli scambi commerciali e dei movimenti di capitali sta trasformando l’economia in un unico grande mercato mondiale: frontiere e barriere economiche e finanziarie non hanno quasi più alcun senso e sempre meno condizionano l’azione politica. All’interno di quest’unico mercato mondiale vanno perdendo significato molte delle peculiarità che hanno caratterizzato l’epoca dei capitalismi nazionali, perché globalizzazione significa anche convergenza verso un modello unico o uniforme di economia di mercato.
“La globalizzazione è una forza positiva ha portato enormi vantaggi ad alcuni, ma per il modo in cui è stata gestita, tanti milioni di persone non ne hanno tratto alcun beneficio, e moltissime altre stanno ancora peggio di prima” questo è il sunto delle parole di Joseph Stiglitz tratto da “La Globalizzazione e i suoi oppositori”
C’è chi sostiene, che la data d’inizio del fenomeno globalizzazione coincida con la scoperta dell’America 1492, altri con la rivoluzione industriale di fine ‘700, altri ancora nel periodo che precedette la prima guerra mondiale. Una nascita è difficile da stabilire, quello che è certo è che dagli anni 70 del secolo scorso ha subito un’accelerazione senza confronti col passato. I fatti più mirabili sono stati: La dichiarazione sulla liberalizzazione dei movimenti di capitale, fatta dal presidente americano Richard Nixon, nel 1971, insieme alla non convertibilità del dollaro, la politica di Regan-Thatcher, degli anni 80, e ancora di più la caduta del muro di Berlino, nel 1989, che fu aperto ai mercati dell’Est al libero mercato. Si parla spesso di globalizzazione come seconda rivoluzione capitalista, ma forse si tratta dell’evoluzione /accelerazione, anche la rivoluzione informatica e la conseguente espansione delle comunicazioni. L’espressione “Villaggio globale” è stata coniata proprio per indicare un mondo unico, senza frontiere, dove tutto e tutti sono raggiungibili, dove è possibile fare delle transazioni finanziarie, da una parte all’altra del mondo senza nessun impedimento. Il fenomeno va inquadrato anche in un contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale, fenomeno che molti cercano di contrastare e che ha dato vita a tanti movimenti di protesta che propongono uno sviluppo alternativo e sostenibile. Le diverse facce della globalizzazione, l’intento principale è quello di creare un unico sistema economico privo di barriere, ma nella realtà è un processo molto complesso, che invade numerose altre sfere. Garantire ai capitali l’accesso aperto e non regolamentato ai mercati mondiali lasciando che il libero mercato si regoli da sé consente alle multinazionali di scegliere in quale posto del mondo sia più conveniente reinvestire i profitti e/o dove tenerli nascosti al fisco.
Il risultato è l’eliminazione dei piccoli produttori distributori e venditori, che non riescono più ad essere competitivi ma anche la mancanza di capitali da utilizzare per lo sviluppo che vengono invece accumulati da poche persone. Tutto questo ha quindi dei costi sociali e ambientali molto alti. Perdita di lavoro nei paesi occidentali dovuti alla delocalizzazione del lavoro da parte delle Aziende, che preferiscono spostarsi in zone del Sud del mondo, dove i salari sono molto bassi e dove le legislazioni locali a tutela dei lavoratori e dell’ambiente non sono avanzate come le nostre. Non è sempre facile comprendere chi sia complice di chi (i governi delle multinazionali o viceversa?). In una società globalizzata il capitale, il lavoro, le materie prime non sono più di per se stessi dei fattori economici determinanti, quello che conta è la loro relazione ottimale, e per stabilirla non si tiene più conto né delle frontiere, né delle regole, ma soltanto di uno sfruttamento della informazione, dell’organizzazione del lavoro e della gestione delle imprese. La competizione è la forza motrice della globalizzazione, come disse l’amministratore delegato Nestlè al Forum di Davos: di qualche anno fa: “che sia un individuo, un’impresa o un paese, per sopravvivere in questo mondo è importante essere più competitivi del proprio vicino” I governi devono adeguarsi altrimenti i mercati li punirebbero immediatamente” sostiene sosteneva Hans Tietmayer, ex presidente della Bundsbank “gli uomini politici sono ormai sotto il controllo dei mercati finanziari”. Per questo si crea un divario tra interesse collettivo e quello di mercato, che si trasforma in interesse dello Stato, contro le Multinazionali. E queste ultime sembrano sconfiggere. Come aveva costatato sempre in un forum di Davos il segretario generale di un sindacato francese” i poteri pubblici nella migliore delle ipotesi, non sono che un subappalto fatto dall’impresa. Il mercato governa. Il governo gestisce. La crescita smisurata delle società multinazionali, che proprio grazie al potere economico riescono a influenzare le scelte politiche e fare in modo che i propri interessi siano sempre tutelati può essere dimostrata dalle creazione dell’Organizzazione mondiale per il Commercio.
Anna Sciacovelli