Il suo nome lo si conosce in pochi, ma la malformazione cavernosa celebrale in Cemì è meno rara di quanto s’immagina è presente spesso non riconosciuta nello 0,3-05 per cento della popolazione, una persona su 200. Causa una pericolosa fragilità dei vasi celebrali, e se in molti casi non fa danni, in altri, può dare mal di testa, disturbi della vista dell’udito o del linguaggio, ma anche epilessia ed emorragie celebrali.
Ora però grazie al lavoro sponsorizzato da Telethon, di ricercatori delle università di Ferrara e di Torino, coordinati rispettivamente da Paolo Pinton e Francesco Retta, se ne sa di più. E s’inizia a intravvedere una cura possibile. “Grazie alla cooperazione di giovani ricercatori, tra i quali Saverio Marchi ed Eliana Trapani, si è scoperto che i mal funzionamenti, alla base della malattia derivano da un unico difetto, il mancato funzionamento dell’autofagia cioè la capacità di eliminare i detriti intracellulari. Senza autofagia. Le cellule s’intossicano è ciò si può tradurre in diverse patologie,inclusa la Ccm. Questa insorge in persone che hanno l’alterazione di uno di tre geni associati , chiamatiCc1,2 e 3dice Retta. Come si diceva, il lavoro targato Telethon ha individuato anche possibili terapie e in particolare una, basata su un farmaco estratto dal batterio Streptmyces hygroscopicus , isolato per la prima volta all’isola di Pasqua Rapa Nui, e in uso dal 1999 nei trapianti: la rapamicina, che ripristina l’autofagia. Per continuare a mantenere studi come questo, Telethon ha lanciato la maratona TV .
Anna Sciacovelli