L’antico Paese di Tibiczan, di chiara origine bulgara, ha cambiato nel tempo vari nomi tra i tanti: Gibbiza, Gittia, Terra Gyptie, Gilizza, Gelzi, fino ad arrivare Ielsi e finalmete Jelsi.
Il paese di Jelsi, posto su di un piacevole colle panoramico, situato su uno sperone calcareo a strapiombo sul torrente Carapelle, presenta ancor oggi tratti della cinta muraria, porte e stradine strette con scalini, da cui, si può ammirare la valle del Fortore, è stato sin dalla preistoria battuto dai cacciatori, perchè dalla conformazione del terreno è tale da favorire una libera e facile caccia. Questo si desume dai vari reperti storici rinvenuti dallo storico locale il ricercatore Vincenzo D’Amico.
I vicoli e le strade che circondano la piazza sulla quale si affaccia la Chiesa Madre di Sant’Andrea Apostolo, il palazzo ducale e la cappella della S.S. Annunziata. Fuori dal centro abitato è situato il Santuario della Madonna delle Grazie, con l’annesso Convento dei Frati Minori Francescani.
Si dice che la prima vera popolazione a insediarsi in quell’agro, fu quella dei siculi, poi ricacciati a sud dagli Osci e poi il ramo Olso.
Il primissimo nucleo originario di Jelsi, fu costituito durante il V° secolo (500-476° A.C.) da popolazioni di cultura Etrusca –Campana, in quanto in tale periodo, si colloca lo stile ionico dell’antefissa ritrovata (tegola di terracotta scolpita quasi sempre dipinta, posta sulla testata delle travi del tetto o poggiata su una cornice alla sommità dei templi etrusco-italici ) nell’agro comunale, attualmente custodita nella chiesa dell’Annunziata del paese.
Nel 1562 a Jelsi si contavano 169 fuochi, il borgo aveva preso forma nel XIII secolo, sotto la guida di Bertrand Beaumont, assieme a Gildone.
Dopo la sua morte iniziarono la costruzione di un mausoleo, che divenne poi il Castello Angioino.
La grande e lieta festa del grano, nasce nell’anno 1805 in seguito al violento terremoto avvenuto il giorno del 26 luglio, per ringraziare Sant’Anna, del lieve danno arrecato dal grande sisma alla piccola città di Ielsi. Fu scelto il grano, come offerta simbolica per ringraziare la grande Madre, per il minimo danno subito dopo quel violento terremoto, “il grano fu donato alla Grande Madre” Sant’Anna, come il frutto della terra. Il rito dell’offerta del grano nel tempo, si è andato modificando con una maggiore presenza e partecipazione del popolo. Inizialmente si trattava solo del trasporto dei covoni (Manocchi) di grano, poi il trasporto con carri di legno, la cui forma ricorda una slitta, le cosiddette “traglie” mezzi di trasporto senza ruote, trainati da buoi.
Uno specifico museo (MuFeG) accoglie tutte le migliori opere realizzate negli anni. Il centro storico di Gambatesa conserva quasi intatta la struttura medievale, con vicoli, portici, cortiletti e ripide scalinate, che portano alla Chiesa Madre e al Castello, l’antico maniero medievale oggi appare trasformato in una pregevole residenza signorile.
E’ ben visibile l’originaria struttura quadrata con merlatura guelfa e torri Angolari, mentre è di stile rinascimentale il portale, le finestre e la loggetta con tre archi a tutto sesto aggiunta nel XV-XVI secolo.
Al suo interno si possono ammirare diversi affreschi di notevole livello artistico eseguiti in stile manierista nel Cinquecento dal pittore Donato da Copertino.
I Lavori furono eseguiti, molto probabilmente, ispirandosi alle opere di altri artisti contemporanei conosciuti durante i suoi studi.
Dell’artista si può supporre soltanto che fosse stato allievo del Vasari, durante il suo soggiorno a Napoli e a Roma nel decennio tra il 1540 e il 1550.
Di particolare interesse, è l’affresco nella saletta detta delle Maschere, dove si possono notare la struttura della Basilica di San Pietro, ancora in costruzione e l’obelisco vaticano. Nel centro abitato è visitabile la Chiesa di San Nicola, con una singolare Croce Greco-romanica e il Santuario di Santa Maria della Vittoria.
Anna Sciacovelli