Un’antica casa in pietra, a picco sulla vallata, costruita su di un alto sperone di roccia, arroccata e quasi in bilico, sul punto più alto del monte, mentre il paese si stende e si dilata, sullo slargo del pianoro.
La mia paura di scivolare sui ciottoli umidi di rugiada, toglieva sicurezza al piede, mentre l’amica Valeria Vitulli, ratteneva il passo e si camminava insieme con estrema incertezza e lentezza, su quella stretta mulattiera.
Una struttura carica di anni e di storia, che non dava sicurezza al passo, l’incertezza e l’altezza procuravano un leggero tremore alle gambe infreddolite.
Scorgemmo un portoncino stretto e basso, dove per entrare, fummo costrette a piegare la testa, ma in fondo eravamo arrivate sane e salve alla sua casa.
Suonammo con insistenza il campanello, una voce squillante, Rispose “Arrivo, Arrivo”, sulla porta un uomo di circa sessant’anni, il quale aprì il portoncino, con amabile sorriso, dicendo ”Accomodatevi, entrate, entrate.” Il Rumore di sedie spostate, per liberare il passaggio e fummo in casa.
In un’antica cristalliera, erano in bella mostra, bicchieri di vari colori e con disegni colorati sistemati in maniera perfetta davano riflessi di luce nella stanza baciata dal tiepido sole di montagna.
Il salotto trasformato in Bazar, conteneva ciabatte lavorate a mano e bastoni nodosi di varie dimensioni, ottimi per arrampicarsi sul ciglio di stradine scoscese di montagna.
In una grande coppa di vetro, mille spille da balia, di misure diverse, bottoni strani di pura madreperla, che sprizzavano luce di mille colori, al riverbero del sole, fiori finti, fatti da pezzi isolati di organza, un grosso e lungo uncinetto infilato in un grande e soffice gomitolo di lana, una coperta iniziata per tenere lontano il freddo dell’incipiente inverno.
Sopra, un’antica mensola pensile in cucina, erano posate molte bottiglie di forme antiche e colori diversi. Una colma di Ginepro asprigno, l’altra, del tanto decantato Cinar degli anni 40, in un tiretto, mille e mille bottoni, di dimensioni e tinte diversi, coabitavano tra antiche trine e merletti, e nastri. Le stoffe dalle tinte vivaci e sobrie erano accatastate in un angolo del salotto, creavano una specola di luce diversa. Tutto il materiale era ben selezionato in un ordine perfetto e disposto in maniera tale da essere individuato immediatamente.
Gianni D’Andrea, si sentiva il padrone assoluto del proprio regno, muovendosi con agilità in tutto quel parapiglia, di un ordine apparentemente severo.
Sul tavolo, un santo nudo, al quale mancavano le braccia, era pronto per essere vestito con un abito nuovo di zecca, che l’artista aveva già tagliato su misura ma non ancora cucito.
L’amico artista Gianni, stava pensando e studiando, con quale materiale, possibilmente il più idoneo, poteva usare per creare e applicare delle nuove braccia al Santo, senza perdere molto tempo, perché dopo pochi giorni doveva essere portato in Chiesa, per farlo benedire dal Vescovo, per poi esporlo al pubblico.
Certo lavoro non facile, anche se l’abilità di Gianni, in questo campo, è indiscussa, la sua vera abilità, unita all’estrema pazienza e sicurezza, supera molto ogni ostacolo, che si frappone al proprio agire.
Nel lungo corridoio, una libreria con tanti libri, con alcuni volumi aperti, alla ricerca di qualche misteriosa forma di operazione o d’ innesto, per sistemare definitivamente le braccia di quel Santo.
Poi, dopo quasi un’ora di permanenza nella casa Museo, che non aveva nessuna intenzione di lasciare, una casa dove tutto era da vedere e da catalogare.
Inaspettatamente, un caldo e dolce caffè, offerto con estrema gentilezza e simpatia, dal nuovo amico Gianni, che premuroso volle farci scaldare prima di affrontare il freddo della strada.
Erano trascorse quasi quattro ore, il tempo era volato in quella casa Museo, dove sulle pareti vi erano dei quadri e alcuni schizzi di antichi volti che ci spiavano, quasi complici della nostra presenza con l’artista Gianni D’Andrea.
Il suono della campana, di una Chiesetta poco distante, dalla casa Museo, offrì a noi la giusta occasione, di salutare affettuosamente il nostro amico artista, per riprendere poi, la strada del ritorno verso casa.
Mi Sono ripromessa, di tornare in estate alla casa Museo, dell’amico Gianni D’Andrea, per rivedere il Santo.
Anna Sciacovelli