L’inverno del 1943, era veramente gelido, anche con il camino acceso per circa dodici ore, la casa era sempre quasi tiepida e mai calda, il tepore del camino si avvertiva solo verso mezzogiorno, quando anche la vecchia cucina a carbone e la legna sotto la caldaia erano accese. La neve durante la notte aveva coperto l’intera balconata dai mattoni rossi, tutto era bianco di quel candore, che fa male agli occhi. La stufa elettrica non si poteva accendere, perché il contatore non sempre emanava la corrente, a volte era interrotta per un risparmio globale di energia elettrica, quindi la città di Bari restava di giorno al buio e senza luce nelle abitazioni. Quel mattino le scuole restavano chiuse, per noi bambini erano una festa veramente inaspettata, in casa dopo aver giocato per due ore con i vecchi bottoni, la noia era in agguato, per farci litigare creando un clima poco favorevole alla pace. La nonna aveva preparato una ciambella con mele renette e miele, il forno a legna, era distante solo due passi da casa, il fornaio, il cui nome era Giuseppe ma tutti lo chiamavano, Peppe, favoriva gli utenti che avevano bisogno del forno, facendo riportare dal garzone a casa dei clienti, le loro teglie con il cibo cotto e leccornie, torte fragranti di miele, con grande gioia dei bambini. Il profumo della ciambella placò gli animi dei piccoli che aspettavano la fetta della dolce ciambella per divorarla, mentre i grandi avevano quasi finito la loro e si accingevano ad attivare un nuovo gioco. Il capo della brigata, era mio fratello Oronzo di otto anni, coadiuvato da Francesco di cinque, al grande piaceva giocare sempre alla guerra, le scope diventavano fucili o lunghe alabarde, gli ombrelli erano spade, per duellare alla bisogna.
Quel giorno voleva giocare con la neve e decise di uscire sul terrazzo per toccare la neve fresca, la donna di servizio, cercava di distogliere a sua attenzione dalla neve proponendo altri giochi per impegnarlo diversamente. La neve di un candore accecante attirava non solo i piccoli ma anche gli adulti dalla strada arrivava un vivace dibattito tra i ragazzi che giocavano con le palle di neve, mio fratello decise ed esclamò” Oggi per giocare facciamo un bel pupazzo di neve”. Con la piccola palettina dello scaldino iniziò a raccogliere la neve al centro del terrazzino, con le mani aveva dato una forma iniziale al corpo del pupazzo, ma la neve fresca non riusciva ad attecchire, allora si bagnò le mani con l’acqua, per dare una forma diversa al pupazzo, mise la neve in un secchio poi lo capovolse, ed ecco il corpo del pupazzo era pronto, mancava la testa, fece lo stesso procedimento, prese il vecchio elmetto, della prima guerra mondiale del nonno, lo riempì di neve sovrapponendolo sul corpo ormai stabile del pupazzo, una carota per il naso, due grosse olive nere per gli occhi, una mezza cipolla rossa per la bocca, un po’ di paglia per i capelli, il pupazzo era pronto sulle spalle gli mise un drappo rosso, intorno al Pupo di neve facemmo il girotondo Oronzo, era soddisfatto del suo lavoro, mancava il cappello rosso, in casa c’era l’inchiostro rosso, dipinse un foglio di carta da pacchi e lo adoperò come cappello, era bello il nostro pupazzo di neve. Improvvisamente il primo sibilo della sirena, entrò nelle nostre orecchie, era allarme imminente, gli ordini erano d’obbligo, per evitare il peggio scendere immediatamente nei rifugi, atti ad accogliere i cittadini. Le ordinanze comunali erano categoriche al primo sibilo di sirena, si doveva lasciare tutto e correre nei rifugi. L’ultimo a scendere nel rifugio fu mio fratello Oronzo, non voleva abbandonare il pupazzo di neve e piangeva, per averlo lasciato solo al gelo e senza riparo dai colpi delle mitraglie tedesche, nei rifugi restammo per circa due ore, qualcuno al tepore dei corpi si addormentò, mio fratello compreso. Finalmente suonò il finito allarme, tutti noi bambini, andammo di corsa a vedere il pupazzo di neve, avevano mitragliato il nostro pupazzo, sul terrazzo c’era un tappeto di cilindri di ferro, circa una ventina di proiettili sparsi sul pavimento. Tutti noi bimbi inconsolabili piangevamo per la morte inaspettata del nostro favoloso “Pupazzo di Neve”. Mentre scrivo, stringo nella mano uno dei proiettili di quel famoso giorno. Non abbiamo mai più fatto o giocato, con un Pupazzo di Neve.
Anna Sciacovelli