Se le pratiche ufficiali non riuscivano a guarire il malato, si ricorreva a pratiche alternative, quelle che solo un santone era capace di mettere in pratica. Quando si va a rovistare negli antichi archivi, che riguardano sia i malati, che i medici si finisce spesso col trovare perfino allusioni riguardanti infermi alquanto difficile da seguire per aver perso la fiducia verso il proprio dottore o indicazioni di altri che ,non facendo più affidamento sul rimedio umano, speravano unicamente in qualche guaritore o in Dio.
Tra le tante carte una data 25 ottobre 1799, ad esempio una dichiarazione con la quale due testimoni asserivano che tale dott. Girardo Antodaro, dopo aver curato a una coscia per la durata di 50 giorni, un giovane chiamato Giacomo Pagone, con l’onorario di solo con l’onorario di soli quattro ducati, ne chiese in aggiunta altri tre per continuare ad assistere il giovane nei successivi 15 giorni.
La madre di costui però, ritenendo che le cure del medico fossero state inutili e completamente prive di efficacia, gli fece conoscere che unzioni da lui praticate era capace di farle pure lei e lo licenziò in tronco.
Nel 1746 poi, il dottor fisico Rocco Graziano, facendosi pubblicamente una risata intorno all’insuccesso di un collega, che non era riuscito a guarire una certa Carmina Panico da un fistola all’intestino retto, assicurò al di lei marito Vito Francesco Sacco, che egli se la sentiva di liberarla di quel male nel breve tempo di 15 giorni: in caso di successo si sarebbe accontentato di un semplice regalo e nella eventualità di un insuccesso, non avrebbe preteso alcunché, rimanendo a carico del marito il costo delle medicine.
Presa in cura la donna, le cose andarono di male in peggio, cercando di evitare l’ infiammazione, che l’avrebbe sicuramente portata alla tomba. Nel ricco carteggio relativo alla sanità, si è trovato inoltre anche il caso di uno di quei guaritori, ai quali gli infermi finivano col rivolgersi quando non sapevano più a quale santo votarsi. Il 12 giugno del 1742, l’interessato, che si chiamava Vit’Angelo Rispo, essendo ormai il suo corpo malignato e guasto, asserì che, dopo essere stato fortemente travagliato da fortissimi mali gallici per lo spazio di otto anni, senza poter trovare rimedio e neanche sollievo si era affidato alle cure del veneziano Nicola Semplice, il quale si era dichiarato disposto ad accudirlo contando solo sull’aiuto di Dio. Uno spaccato per meglio conoscere come agivano i medici e curati gli ammalati, nel 1700.
Anna Sciacovelli