Nato nel 1973. Comincia già a 15 anni a salire sui primi palchi e battere ciglio, scrive canzoni, canta improvvisando e approfondisce i suoi studi a vent’anni nelle scuole di teatro. È Fulvio Filoni. Motto preferito? Volere e potere. Fulvio si presenta in redazione come un personaggio diretto, un po’ testardo e che prende di mira gli obiettivi. Alto 1,75 – taglia 52 – scarpe 44 – occhi marroni e capelli castano. Come ricordi il tuo primo colpo di fulmine con il teatro?
Il mio primo “colpo di fulmine” con il teatro, è nato al cinema. 1977, Nettuno… mio nonno mi porta a vedere King Kong, al cinema, appunto. Avevo solo 4 anni, gli schermi, a differenza delle multisale nate in seguito, a quei tempi erano veramente grandi. A parte il fascino e il terrore suscitato in me dal bestione, ero convinto che gli attori fossero in realtà dietro lo schermo e che si riposassero durante la pausa tra il primo e il secondo tempo. Quindi per me quel grande schermo era in realtà un grande palcoscenico dove, ogni sera e a ogni visione del film, gli attori ripetevano la storia e le stesse battute. Un incontro con il teatro prima del teatro, insomma. Il vero colpo di fulmine, comunque, lo ebbi vedendo in tv “Aggiungi un posto a tavola”, nell’edizione del 1978.
Che differenza c’è tra il voler fare l’attore attraverso un percorso di studio e farlo per caso? Credi che esiste il colpo di fortuna?
In passato succedeva spesso che gli attori non frequentassero alcuna scuola. Anzi, in realtà era la norma. Molti talenti erano portati per il teatro, per il circo, per l’intrattenimento e venivano presi dalle compagnie di giro, nell’avanspettacolo. Era una grandissima scuola, che permetteva di andare subito in scena e di misurarsi con le più svariate realtà e con un pubblico, spesso, per niente disposto a concedere. Credo che questi talenti “innati” esistano ancora, ma adesso sono convinto che si debba passare invariabilmente per lo studio e la formazione, essendo sempre più labile e rarefatto il retroterra culturale degli italiani. Oggi non è scontato conoscere la storia del teatro e dell’arte. Spesso i giovani attori non conoscono artisti scomparsi soltanto dieci o quindici anni fa.
Hai bambini?
Ho un “quindicenne” di quattro anni, Pietro… un grande artista: tempi comici perfetti.
Somiglia al papà? Per ora non mi somiglia, fisicamente intendo. Mi somiglia perché è un po’ folle e geniale, sotto certi aspetti probabilmente lo è molto di più di quanto non lo fossi io, da bambino. Somiglia molto alla mamma (mia moglie: Caterina) e di questo ne sono felice. Per ora le sue passioni sono i film anni ’70, Bud Spencer & Terence Hill, Goldrake e Mazinga, i soldati e i cow-boys, un bambino di altri tempi, insomma. E la musica? è molto portato. Per non parlare delle imitazioni. Da grande vorrebbe fare il pompiere/medico/astronauta/attore/pilota.
Sei soddisfatto della tua carriera? E se potessi tornare indietro cosa non faresti?
Sono abbastanza soddisfatto di quello che ho fatto fino ad oggi. Forse avrei voluto fare qualche commedia musicale, questo sì. Se potessi tornare indietro, più che altro, farei alcune cose che ho rifiutato di fare perché a quel tempo le reputavo (sbagliando) di bassa cultura. Intrattenimento puro, quello che manca adesso: si va dall’impegnato e ferocemente sperimentale, al cabaret parolacciaro senza una vera alternativa nel mezzo.
Un consiglio per chi intraprende la carriera d’attore.
Il consiglio è già sentito e ri-sentito ma è quello: studiare! Studiare e fare esperienza. Che non vuol dire necessariamente lavorare gratis. Frequentare una scuola seria e nel frattempo lavorare (anche se alcune scuole in modo insensato secondo me, vietano agli allievi di partecipare alle produzioni durante la scuola). Rubare dagli altri. E diffidare, soprattutto, della chimera dei talent e dei reality, che creano “talenti” dal nulla e infatti creano il nulla. Ai giovani aspiranti attori mi sento di dire: lasciate stare i talent, non li guardate neanche, andate a sudare e a sentire freddo in teatro.
Ricordi particolari.
Il primo applauso ricevuto e, soprattutto, le prime sonore risate. La sensazione di suscitare un’emozione nel pubblico. Una dipendenza a tutti gli effetti (crisi d’astinenze comprese).
Qual è l’opera teatrale che più personifica la tua esistenza tra immane figure che rappresenti? Hai mai recitato una parte che non ti piaceva? E come mai.
Più che un’opera, mi rappresenta uno stile ed è il teatro surrealista. Quando scrivo, che si tratti di un testo teatrale, di una poesia, di una canzone finisco sempre col rendere surreale una parte del mio lavoro. Perché così, secondo me, è anche la vita. Mi è capitato più di una volta di recitare una parte che non mi piaceva. Perché, se fai questo come lavoro, succede. Non si può dire di sì a tutto, questo no. Ma può capitare di dover scendere a compromessi.
Il tuo prossimo evento?
“NON APRITE A UGO PAGLIAI”, dal 22 al 25 settembre, al Teatro Elettra (zona Colosseo), a Roma. Un testo scritto da me, un monologo con più personaggi ambientato negli anni ’70. Testo (che te lo dico a fa’) surreale e, credo, molto interessante. Ma questo lo giudicherà lo spettatore.
Rosa Santoro