Vanno le donne, per le campagne incolte a tagliare e raccogliere, nei quattro mesi estivi: di maggio, giugno, luglio e agosto, il nuovo ma antichissimo e apprezzato, fiore del deserto.
Il pregiatissimo dono, della natura generosa, alla gente povera, splendido fiore che nasce e cresce nei terreni aridi e sabbiosi, una pianta che germoglia, fiorisce e resiste, che trova spazio, nell’area del Mediterraneo, dove non manca il sole.
Le donne calabrese, sin da piccole riconoscono la ginestra e ricordano da sempre la procedura, come ricavarne una fibra robusta per la tessitura, con la quale realizzare ai telai manuali, dei teli di varia pezzatura, che a loro volta sono trasformati in coperte, strofinacci, asciugamani e indumenti di lavoro.
Anticamente, ma anche attualmente, la lavorazione della ginestra, avveniva e si continua ancor oggi, a lavorala nello stesso periodo estivo, in special modo in un piccolo Comune del catanzarese, le donne dopo aver tagliato le fascine o le vermene, dai lunghi steli, gli stessi dopo averli contati erano poi lasciati a bagno in un rivolo continuo d’acqua, come un piccolo fiume o un costante rigagnolo l’acqua non doveva essere stagnante, altrimenti i rami marcivano e tutto il lavoro svolto veniva vanificato e gli steli marcivano. Per non farli trascinare o trasportare via dalla corrente del fiume, erano coperti quasi totalmente, con molti sassi di spessore diverso per fermarli e segnalati con una sigla di appartenenza, coperti con sassi di un certo peso, nel fiume o in un rigagnolo dovevano sostare per circa otto giorni, per evitare sia la dispersione dei mazzetti, che per fare ammorbidire la parte dura degli steli
Dopo il periodo della sosta nel fiume, i mazzetti erano battuti sulle pietre o sulla sabbia per rendere morbida la fibra che conteneva.
La fibra così ottenuta, era lavata tre volte ed essiccata al sole, poi si staccava la parte fibrosa da quella legnosa, ottenendo la fibra molto preziosa per l’intera famiglia.
Quella fibrosa, era filata e poi tessuta, dalla stoffa venivano tagliati e cuciti abiti da lavoro o strofinacci da cucina, lenzuoli asciugamani e panni per avvolgere i neonati. Oggi invece, le vermene sono bollite in un ampio caldaro, con un secchio di cenere, che nell’ebollizione dell’acqua, diventa lisciva, le fascine sbollentate, sono lasciate a mollo nello stesso caldaro, per una notte intera.
Quando le fascine cambiano colore e da verde diventano gialle o marroni, allora sono pronte per la battitura, che fa emergere la fibra, la quale viene raccolta su di un fuso in un unico filo continuo, dal fuso il filo viene raccolto sull’arcolaio, ottenendo così delle morbide matasse. Il filato è lavorato dalle donne e talvolta anche dagli uomini, quando le richieste delle famiglie della zona sono urgenti, vuoi per una nascita improvvisa o per un matrimonio riparatore.
Alcuni parlano, di un retaggio di antica data, vedi i Bizantini, che poi in realtà, è diventata parte integrante del lavoro e dell’identità di un popolo dedito all’antichissima arte della filatura e tessitura.
Si dice e si vocifera, che tutta la lavorazione della ginestra risale, al lontano periodo dell’invasione araba, prima in quel di Sicilia e poi in Calabria, dove alcuni gruppi si erano stanziati, anche se il tutto, nasce da una matrice Araba.
Anna Sciacovelli