Caruso aveva terminato la sua cena e si accingeva ad avvicinarsi alla cesta imbottita, quando uno strano miagolio lo fece deviare verso il cortile interno della vecchia casa.
Un mantello grigio screziato, dal pelo abbastanza lungo e setoso, copriva il suo corpo felino, due occhi azzurri venati di lapislazzuli dorati, nei quali si leggeva tanta furbizia, i suoi vibrissi sempre in movimento alla continua ricerca di topi o di scarafaggi.
La sua residenza in quella casa, gli anni si contavano sulle dita delle due mani, dieci anni, vissuti a cercare topi invisibili e a rompere ragnatele fragilissime, in ogni dove, tra un sonnellino pomeridiano e la sostanziosa cena a base di pesce, che divorava famelico, mentre con lo sguardo torvo, teneva a bada e umiliava in lontananza Giosuè, l’amico nemico, dei suoi giochi.
Il suo padrone Giacomo, un giorno verso la fine del mese di dicembre, andò in cantina per inforcare la sua bicicletta, per una volata veloce al giornalaio, in un vecchio cesto sgangherato, trovò un bastardino, che starnutiva a più non posso, nella sua gelida e minuscola cantina. Quella sera d’inverno, faceva un freddo intenso, Giacomo, con la tenerezza di un padre, prese il cucciolo, se lo mise tra la camicia e il giubbotto di flanella, sopra infilò il suo caldo impermeabile, era una sera di freddo intenso, dopo pochi giorni sarebbe stata la ricorrenza del Santo Natale.
Pensò bene, di fare un presente alla moglie, con quel dono, in previsione delle feste di dicembre e già immaginava di andare a caccia con lui, non appena il cane si sarebbe svezzato prima e addomesticato dopo. Appena rientrato a casa, Giacomo chiamò la moglie e le mostrò quel cagnolino tremante, per il gelo e per la paura. La donna, non riusciva a calmarlo, allora si ricordò, che il nonno materno, per chetare i piccoli animali, che circolavano nella grande e vecchia casa, quando vivevano ancora nel padronale podere, soffiava fiato caldo con la bocca, sul corpo dei piccoli animali, allora anche lei, a quel ricordo iniziò a soffiare aria calda, fu così che il cane a quel calore e a quelle coccole dopo poco tempo, si calmò e con la lingua leccava le mani della donna quasi a ringraziarla per averlo riscaldato. Che nome dare a questo nuovo ospite, era un bel rompicapo. Il Cagnolino dopo poco si calmò, bevve del latte tiepido e si addormentò in grembo alla donna, quel gesto del cane a lei dette tanta sicurezza, tanto che decise di tenerlo in casa per sempre. Fu trovato un nome breve ma valido, lo chiamarono Giosuè, era un nome coniato appositamente, per lui, obbediva tranquillamente ad ogni ordine dei padroni. Bravo a caccia, riusciva a rispettare tutto quello che brevemente il padrone gli aveva insegnato.
Un fischio forte e corto, doveva stare al suo fianco, uno lungo e flebile, il cane doveva correre a prendere il tordo impallinato, due colpi di tosse, doveva stanare un nido caduto dall’albero tra i rovi, il tutto era stato un lavorio continuo per addestrare quel cucciolo nato e trovato in quel freddo mese di dicembre. Gli anni di convivenza, avevano formato un bravo e attento cane da caccia, il padrone per lui, molte volte usciva per andare a caccia, al solo scopo di non fargli perdere o dimenticare l’addestramento ricevuto. Un giorno del mese di marzo, il cane, aveva salvato il padrone dal morso di una vipera, Giosuè con una zampata l’aveva stordita e una volta a terra, l’aveva morsicata due volte alla lunga e scattante coda, allontanandosi poi rapidamente per evitare di essere a sua volta aggredito. Ma, i denti della vipera, avevano lasciato il segno su Giosuè, per giorni aveva camminato trascinando la gamba dolorante, poi era tornato a correre come sempre, mentre il veleno faceva lentamente l’effetto indesiderato.
Una sera Giacomo dopo aver cenato, andò a sedersi in giardino, Giosuè come un automa lo seguì, si accucciò ai suoi piedi e lì rimase per circa venti minuti, poi adagio si mosse per recarsi nella sua cuccia, ma prima di allontanarsi aveva cercato il contatto con la mano del padrone, poi si allontanò.
Il mattino seguente, verso l’alba Giacomo senti frignare il cane, ma lo lasciò fare, quando si alzò, notò che il cane era in una posizione poco felice, cercò allora di sistemarlo meglio e solo allora si accorse della sua morte, pianse in silenzio per non svegliare la moglie.
Prese il badile uscì all’aperto scavò una fossa e depose Giosuè sistemando tutto alla meglio, l’unico presente, il gatto, che lo guardava con occhi sgranati.
Durante la colazione disse alla moglie, che Giosuè lo aveva visto abbandonare la casa, ed era andato via al calare della luna.
La donna, si stropicciò gli occhi colmi di lacrime, che scendevano e si rincorrevano lungo le gote e sorrise.
Anna Sciacovelli