Il terremoto ad Avellino del 25 ottobre, con una magnitudo di 4.0 e una profondità di 14 km, ha acceso l’attenzione su un fenomeno geologico che spesso viene sottovalutato: le faglie inverse. Secondo le osservazioni dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’evento sismico potrebbe essere stato associato all’attivazione di una di queste strutture, tornando a evidenziare l’importanza di comprendere le dinamiche che governano la crosta terrestre.
Ma cosa sono esattamente le faglie inverse e quali sono le loro caratteristiche distintive? Le faglie, per definizione, rappresentano fratture nella crosta terrestre che generano uno spostamento dei blocchi rocciosi lungo il piano di rottura. A seconda della direzione del movimento, si possono identificare diverse tipologie di faglia. Nel caso di Avellino, il blocco superiore, noto come blocco a tetto, ha avuto un movimento ascendente rispetto al blocco inferiore, o blocco a letto. Questo tipo di movimento è indice di forze compressive che agiscono sulla crosta terrestre.
Le faglie inverse si caratterizzano per l’angolo di inclinazione, che solitamente si aggira attorno ai 30°. Questa struttura geologica è particolarmente significativa poiché, attraverso il meccanismo di accavallamento, può contribuire alla formazione di catene montuose nel corso delle ere geologiche. Infatti, il sollevamento dei blocchi rocciosi porta alla creazione di rilievi e altre caratteristiche geomorfologiche che plasmano il paesaggio terrestre.
È importante chiarire che la presenza di faglie inverse non implica necessariamente un ambiente montano uniforme. La realtà geologica è molto complessa e in determinate aree può esserci una prevalenza di movimenti distensivi, che danno vita a quello che vengono chiamate “faglie normali”. Queste ultimi si differenziano dalle faglie inverse per un angolo di inclinazione più accentuato, generalmente intorno ai 60°, e per un movimento reciproco che tende ad allontanare i due blocchi.
Il terremoto di Avellino, pur essendo avvenuto in un contesto ben noto dal punto di vista sismico, mostra come le dinamiche interne della Terra possano dare luogo a eventi distruttivi anche in regioni che non sembrano immediatamente associate a tali fenomeni. La catena appenninica, infatti, è una zona sismicamente attiva, e il fatto che questo evento non sia correlato al bradisismo flegreo ma alla sismicità tipica di questa area, enfatizza l’importanza di monitorare e studiare continuamente questi processi.
Conoscere le faglie inverse ci offre non solo una spiegazione dei meccanismi che stanno alla base di terremoti come quello di Avellino, ma ci aiuta anche a preparare strategie di mitigazione del rischio sismico. Infatti, comprendere la distribuzione e le caratteristiche delle faglie può servire a migliorare l’urbanistica e la progettazione edilizia, così da minimizzare l’impatto degli eventi sismici sulla popolazione e sul territorio.
In conclusione, il terremoto ad Avellino ha riacceso i riflettori sull’importanza delle faglie inverse, un fenomeno geologico determinante nella modifica della superficie terrestre e nella dinamica sismica globale. Approfondire queste conoscenze non solo arricchisce il nostro bagaglio culturale, ma costituisce un passo fondamentale verso una maggiore sicurezza e consapevolezza in relazione ai rischi naturali che ci circondano.










