A forza di suonare il pianoforte davanti alla carta geografica dell’America, Antonio decise di affrontare il viaggio e di andare a vedere, dove si trovava e com’era.
Com’erano gli Stati Uniti, il Nord, rimase deluso e sconfortato. Andò a Miami ha visto il ghetto di Little Colombia ed è tornato disgustato a casa, a Cartagena Antonio è di pelle scura e ha circa ottantantasei anni essendo nato ad Aracataca il 6 marzo 1927
Si esibisce ogni sera nel locale del ristorante “El Bodegon de la Candelaria”, in cima alla torre dove si vedono le cupole e i coppi illuminati della città coloniale. Quando suona le note scivolano giù lungo le pareti bianche e pastello delle case spagnole, lungo la via dell’Amarezza, che qualche suo trisavolo ha percorso con le catene ai piedi quando la città aveva il privilegio ingrato di essere il maggior mercato di schiavi africani delle Americhe il locale è un gradino classico della scala che scende nella notte a Cartagena.
La fantasia di Gabriel Garcia Marquez (di cui appena uscito per Mondadori il primo volume dell’auto biografia “Viverla per raccontarla) immagina il galeone ancora intatto, con le vele gonfie, il comandante in divisa e un polpo di oltre tre secoli, cresciuto così tanto nella stiva che per liberarlo bisognerebbe distruggere la nave.
E’ in un capitolo del libro “L’amore al tempo del colera”, uno dei romanzi che lo scrittore colombiano ha ambientato a Cartagena,la città che più lo ha ispirato e dove Marquez ha casa. La sua villa sorge proprio accanto al convento di Santa Clara, oggi diventato un albergo a cinque stelle: la sua recente riconversione racconta la nuova ricchezza di Cartagena l’industria del turismo.
Le ultime allettanti promesse di benessere spuntano dopo un periodo nero, con la città oscurata dallo sviluppo di Barranquilla, che dista solo cento kilometri più a est, alla foce del rio Magdalena, in posizione strategica per commerciare con l’interno del Paese.
La rinascita gira intorno alla cerchia delle mura e a quello che ci sta dentro. Già negli anni Quaranta si era capito che la città coloniale meglio conservata d’America era un valore che assicurava interessi elevati e nell’86 l’Unesco aveva dichiarato Cartagena “patrimonio storico dell’umanità” una rete di vincoli stende un velo protettivo sul centro fortificato: sono vietate anche le antenne paraboliche sul tetto per catturare i programmi nordamericani, “Per questo non ho la TV” spiega Patricia Duran.
La Televisione locale Trasmette solo la storia delle telenovelas”, la casa enorme con i soffitti altissimi e il grande patio si trova nel quartiere popolare di Getsemani insieme all’ex rione degli schiavi, di San Diego è la zona dove i colombiani benestanti di Bogotà, Calì e Medellin hanno fatto affari migliori comprando a buon mercato immobili, che oggi valgono una fortuna. Sono le abitazioni moresche, che alla fine dell’Ottocento la nuova borghesia criolla, ha scoperto viaggiando in Andalusia, semplici all’esterno, dietro le mura nascondono giardini e fontane. Qui la magia è anche vegetale come dimostrano gli alberi giganti di ficus dove gracchiano le Maria mulatas i grandi corvi e i pappagalli colorati di Marquez, che ripetono solo le molte “bestemmie da marinaio”.
Mirabile è la descrizione, che lo scrittore Gabriel Maria Marquez riesce a far vivere al lettore enunciando i pro e i contro di una città amata e vissuta ogni istante della sua vita.
Ogni colombiano che si rispetti, sogna di costruire la seconda casa a Cartagena dove respirare l’atmosfera che seduce l’intelletto e il cuore, in special modo, la sera, quando il sole scompare all’orizzonte e la mura emanano il calore dalle pietre spagnole, e si merita l’appellativo di “Corallito de piedra”, la loro è una vera passione per l’architettura moresca.
Lo scrittore muore a Missolonghi in Grecia 17 aprile 2014 alla veneranda età di ottantasette anni.
Anna Sciacovelli