I tumulti e le sommosse del 1898 in terra di Bari.
Alla fine dell’800, terra di Bari, era una Provincia a economia prevalentemente agricola. La mancanza di un’irrigazione nazionale (Acquedotto Pugliese non ancora iniziato e la scarsità dei corsi d’acqua) e anche per la particolare posizione geografica e il terreno calcareo, caratterizzavano la nostra Provincia, rendendo in essa prevalenti le culture arboree: Vigneti, oliveti e mandorleti.
I vini prodotti nel Barese, erano tutti di alta gradazione alcolica, ottimi come vini da taglio, quindi venduti in Francia, che aveva bisogno di migliorare il colore e il sapore dei suoi vini e spumanti.
La chiusura di questo scambio con la Francia del 1887 dette inizio a una grave crisi economica alla Provincia di Bari. Non era la prima volta che la città di Bari si ribellava al Governatore le grandi sommosse popolari erano avvenute già nel 1635 e altri anni a seguire, a causa delle frequenti evasioni alla gabella sul forno, questa tassa fu abolita parzialmente, ma nello stesso tempo, fu sostituita con un’altra, dal dazio sulla farina. La cittadinanza, si ribellò partecipando in blocco a una violenta sommossa, che fu sedata solamente quando il presidente della regia Camera, Don Bernardo Zuffa, pregato dall’Arcivescovo Ascanio Gesualdo, ebbe ripristinato il balzello sul forno, riducendone l’entità e istituendo un dazio sul grano. Di tutto questo s’è comunicata ampia notizia in altre note, tanto che gli avvenimenti formarono oggetto di una famosa relazione, inserita fra le pagine del libro dei privilegi dell’ Università di Bari. L’emanazione dei provvedimenti fiscali, fu seguita dalla stipula di opposte capitolazioni di esecuzione col castellano Francesco Pappacoda, per quanto concerneva la sua famiglia e servitù, nonché i soldati da lui dipendenti, e non le autorità della Chiesa, per quel che riguardava i religiosi. Nella seduta tenuta il 30 marzo del 1635 dal capitolo della Basilica di San Nicola, quando il documento fu sottoposto all’attenzione dei suoi componenti.
In apertura della riunione il canonico Benedetto Fuoco, chiamato a presiederla in assenza del Priore Francesco Saluzzi, assente, cominciò a darne comunicazione facendo leggere gli articoli per prendere tempo. L’appaltatore addetto alla distribuzione avrebbe assicurato ad ogni sacerdote o canonico una franchigia di circa 21 tomoli di grano a testa all’anno., da ridurre a metà per i chierici e da godersi in un’unica volta ovvero in parti con facoltà di venderla o donarla a chiunque. Nel portarsi a casa il frumento prodotto nei loro fondi patrimoniali, essi no avrebbero avuto altro obbligo tranne quello di denunciarne il quantitativo. Acquistandone altre partite, eccedenti in franchigia, dovevano ugualmente denunciarle. Il grano, destinato alla semina, sarebbe stato franco come per i laici. Il capitolo nicolaiana, prese atto di queste nuove norme, con l’astensione di alcuni, ch’erano dell’avviso di informare preventivamente il presidente Zuffa.
Anna Sciacovelli