Nel 1600, uno spoglio dramma di umana miseria offuscò nel seicento, il passato glorioso di un’illustre famiglia di Bari, ricordata pure nella toponomastica cittadina. L’identità della persona, che ne oltraggiò il nome intemerato, è scaturito da un antico carteggio dimenticato, cui sarà fatto riferimento senza citare dati utili per riconoscerlo, il rampollo dal nome altisonante per l’epoca, tralignando dall’esempio dei suoi avi si diede a vita scandalosa fino al punto di arrecare molestia perfino alle monache di Santa Scolastica e da indurre il genitore a mandarlo a soggiornare a Napoli. Avendo egli acquisito costume ancora più discutibile, nel 1675, il genitore lo fece tornare a Bari, dandogli alloggio, in casa di uno zio autorevole. Il ragazzo irrequieto, s’invaghì presto di un’onesta giovane, con la stessa a due ore di notte del 27 marzo 1675, contrasse furtivamente matrimonio per mano di un sacerdote attirato con inganno, col pretesto di dover confessare un individuo ferito. Costui non aveva colpa per niente, ma dovette faticare non poco, per dimostrare la propria innocenza, alla fine riconosciuta perché dopo pochissimi giorni di detenzione, fu messo in libertà.
I parenti di entrambi gli sposi si affrettarono invece a chiedere l’annullamento dell’unione e la cattura del furfante che, per non essere arrestato, andò a rifugiarsi nei cortili di San Nicola, ove gli sbirri non avevano la facoltà di entrare in virtù del diritto d’asilo.
Il successivo 21 maggio, fu tuttavia acciuffato con uno stratagemma e condotto innanzi al tribunale della Curia presieduto dall’arcivescovo Giovanni Granafei, l’accusa fu sostenuta dal chierico Giovanni Antonio Dottula, dal canonico Antonio Effrem, dal sacerdote Francesco Piccioli, mentre interveniva a difenderlo soltanto l’innamorata, sua ex consorte.
La prova d’affetto della sfortunata donna non commosse l’ignobile malfattore, il quale asserì che, a obbligarlo a sposarsi, era stato il suocero con la minaccia delle armi.
La sua impudenza fu tale che sollecitò addirittura lo scioglimento del connubio.
Raro per quei tempi.
Disconoscimenti, annullamento, svenimenti e tanto altro da raccontare, da sembrare una farsa ben strutturata, ma è soltanto la realtà, che supera molto la fantasia di uno scrittore pazzo.
La fonte della ricerca, volutamente lacunosa e in più parti contraddittori, non consente un migliore approfondimento, ma ne viene fuori, un groviglio di passioni e di colpi di scena, dai toni vagamente manzoniani tra la suocera e il genero, tra la sposa e il suocero, non può che ispirare pietà verso tutti i protagonisti, che hanno vissuto questa realtà, in quel tempo, che sembra quasi irreale.
Anna Sciacovelli