Sono tanti gli anni, che tutti i belligeranti della seconda guerra mondiale, hanno nascosto un terribile segreto, forse avendo violato un accordo e un divieto, avevano timore di creare scandalo nell’aver utilizzato il micidiale “gas mostarda”.
In un protocollo d’intesa, lo avevano firmato tutti quel protocollo, nel quale era chiaramente scritto di “Bandire per sempre, dalle guerre l’iprite sin dal 1927”, non avendo mantenuto il patto firmato, la parola “data” era tradimento.
Bari due dicembre2015, questa mattina alla presenza del C. amm.ne Mario della Valle, Presidente A.N.M.I. Bari, del Dr. Angelo Tommasicchio, Assessore delle are Metropolitana di Bari, Amm.I. Domenico De Michele, Direttore Mar.ma Puglia, C.V. cp Donato De Carolis, Comandante in II Porto di Bari, C.I.c.istop SPAMAT- Bari-Molfetta, ing. Mario Mega, Segretario gen.le A.P.d. L., Francesco Mariani, Autorità Portuale del Levante, Marcello Zaetta, L.N.I.- Bari e del Prof. Vito A. Leuzzi, si è svolta la cerimonia ricordando le delle vittime del bombardamento, che avvenne la sera del due dicembre del 1943 alle ore 19,30 circa.
Alla presenza di molti giovani studenti, che hanno partecipato alla Cerimonia, è stata posta una corona d’alloro, sulla grande piattaforma, in onore delle vittime di quella terribile sera 02 novembre 1943.
Quella sera di settantuno anni fa, il porto di Bari illuminato a giorno, aveva dato asilo a circa quaranta navi, che attraversavano il mare mediterraneo, tra le tante navi mercantili e d’approvvigionamento alle truppe, che ogni giorno attraccavano al porto di Bari.
Nel porto, occuparono posto le grandi navi da guerra, tra le altre, il”John Harvey”, che trasportava circa 90 tonnellate del “Gas mostarda” usato per la prima volta a Ipri, una città Belga e dalla quale prese il nome questo evento avvenne, nell’anno 1915.
Verso il tramonto, un solitario aereo da ricognizione, partito dall’aeroporto di Foggia, in mano ai Tedeschi, fece sentire il suo motore e poi mostrare la propria presenza sul porto di Bari, una semplice passeggiata sulla città, fotografando a più riprese il porto illuminato e stracolmo di navi, una visione splendida per il solitario, angelo della morte.
Un rientro affrettato del solitario aereo, la notizia lanciata via radio e la squadriglia al completo prese il volo, diretta al porto di Bari.
La squadriglia aerea, prima di arrivare nei pressi dov’erano segnalati i radar, aveva gettato dal cielo intere buste di carta argentata, per creare uno sfarfallio insolito, che serviva per ingannare gli operatori addetti ai Radar.
I portuali, gli scaricatori e le gru erano all’opera, per scaricare all’esterno sia le bombe della nave”John Harvey ” e tutto il materiale deteriorabile imbarcato sulle navi, circa il 50% del materiale era stato scaricato e provvisoriamente posato sulle banchine del porto, che stracolme di materiale bellico e non, rallentavano i movimenti del personale addetto allo scarico.
Le voci, lo stridio continuo degli ingranaggi e delle pulegge di navi e gru, impedirono agli addetti ai lavori di scarico di sentire i motori e l’avvicinamento degli aerei, sulle banchine il traffico era serrato e indescrivibile, su tutta l’area circostante all’interno del molo, fervevano i preparativi, per mettere al riparo le bombe all’iprite.
Poi il bombardamento improvviso, fermò il motore della vita, molti portuali per salvarsi, si gettavano in mare, ma appena in acqua erano costretti a liberarsi degli abiti, divenuti pesanti perché imbevuti di acqua, ingombravano i movimenti delle braccia nel nuoto, facendoli precipitare in fondo al mare.
Il contatto dell’iprite con l’acqua, aveva una reazione strana sugli uomini, i corpi iniziavano a gonfiarsi come palloni e galleggiavano senza nuotare, alcuni volontari, cercavano di agganciarli con le fiocine o con i ramponi riuscendo a trascinarli a riva, ma gli uomini non reagivano, anzi erano quasi morti e come sagome senz’anima, si lasciavano tirare a riva senza reazione alcuna.
Il tipico odore dell’aglio, si diffuse sulla città di Bari, la gente correva verso la stazione o entrava nei rifugi nella speranza di salvarsi, all’ospedale consorziale arrivavano i primi feriti ma i medici non sapevano da dove iniziare, come curare quei corpi flaccidi e senz’altro segni di vita.
In meno di un’ora morirono circa 250 persone, altre si aggiunsero a quel numero, si parla di circa 1200, i corpi lacerati da pustole e da ferite diverse, gli uomini non avevano nemmeno il tempo di lagnarsi.
Quasi tutti i corpi dei feriti, presentavano bolle ricolme di liquido incolore, oppure coperti da grandi vesciche vuote, da dove il liquido era fuoruscito, lasciava la pelle avvizzita, che continuava a prosciugarsi inesorabilmente.
Il disastro era compiuto, in quella serena sera, del due dicembre 1943.
Anna Sciacovelli