E se una delle gemme più preziose al mondo a un certo punto ‘andasse in fumo’? È proprio quello che hanno scoperto i ricercatori dell’Università di Bologna, e cioè che il diamante, una pietra rarissima, si può trasformare in metano, uno dei più dannosi gas serra. Succede appena finisce in contatto con l’idrogeno, proprio come accade nelle profondità della Terra. Scoprirlo, però, non era una cosa scontata. Perchè, se è vero e risaputo il contrario, e cioè che dal metano che si decompone possono formarsi diamanti, finora la ricerca non aveva mai scoperto l’inverso. E cioè che i diamanti compressi, se messi a contatto con l’idrogeno, diventano metano. E possono quindi agire come fonti di energia che alimentano le riserve di metano presenti nel sottosuolo terrestre.
Il gruppo di studiosi che è riuscito a dimostrarlo è formato da studiosi dell’Università di Bologna, dell’Università di Edimburgo (Regno Unito), del Centre National de la Recherche Scientifique (Francia) e dello HPSTAR (Cina). Il risultato – pubblicato su Nature Communications – potrebbe aiutarci a conoscere meglio il ciclo profondo del carbonio e la formazione di idrocarburi tramite processi abiotici (cioè non legati ad attività biologica) nelle profondità della Terra, un processo fondamentale per la presenza di vita sul nostro pianeta, perché permette al carbonio (di cui sono formati i diamanti) presente nelle profondità del pianeta di tornare nell’atmosfera.
Rientra nel ciclo profondo del carbonio, infatti, anche la possibile formazione di idrocarburi come il metano attraverso processi indipendenti da attività biologiche, una teoria estremamente controversa da più di un secolo. I ricercatori hanno esplorato questa possibilità, e lo hanno fatto partendo dai diamanti: gemme presenti nel mantello terrestre e composte da atomi di carbonio ordinati.
DUE PUNTE DI DIAMANTE COMPRESSE AD ALTISSIMA PRESSIONE
Gli studiosi hanno utilizzato un apparato sperimentale chiamato “cella a incudine diamante”, che permette di generare altissime pressioni comprimendo due punte di diamante una contro l’altra: in questo modo è stato possibile ricreare livelli di pressione simili a quelli presenti nel mantello superiore del nostro pianeta, a più di 70 chilometri di profondità. A questo punto, inserendo all’interno dell’apparato sperimentale un’atmosfera di idrogeno puro riscaldata ad oltre 300 gradi centigradi, i ricercatori hanno osservato la rapida formazione di metano, le cui molecole sono formate da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno (CH4).
“Ricreando condizioni di pressione e temperatura simili a quelle del mantello superiore terrestre, abbiamo osservato che l’interazione tra diamanti e idrogeno produceva metano nel giro di pochi secondi”, conferma Vitale Brovarone. “Questo dimostra che idrocarburi come il metano si possono formare a grandi profondità in assenza di attività biologica: un fenomeno che potrebbe avere un ruolo fondamentale nel ciclo profondo del carbonio”.
L’ESPERIMENTO FUNZIONA ANCHE CON LA GRAFITE
Il gruppo di ricerca ha ripetuto lo stesso esperimento anche aggiungendo della grafite – composta anch’essa da carbonio puro – e in altro caso inserendo un materiale carbonioso simile al vetro. In entrambi i casi, è stata osservata ancora la formazione di metano, in quantità maggiori e in tempi più rapidi rispetto a quanto accaduto utilizzando solo i diamanti. Risultati che suggeriscono come i materiali grafitici a base di carbonio possono essere reagenti particolarmente efficaci e possono quindi agire come fonti di energia che alimentano le riserve di metano presenti nel sottosuolo terrestre.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications con il titolo “In-situ abiogenic methane synthesis from diamond and graphite under geologically relevant conditions”. Gli autori sono Miriam Peña-Alvarez, Mengnan Wang e Eugene Gregoryanz dell’Università di Edimburgo (Regno Unito), Mary-Ellen Donnelly, Philip Dalladay-Simpson e Ross Howie del HPSTAR – Center for High Pressure Science and Technology Advanced Research (Cina) e Alberto Vitale Brovarone, professore al dpartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna.
Fonte Agenzia Dire