Un invito dal mio caro amico e conterraneo, Antonio Fiorese, residente in quel di Zurigo, dove l’intera famiglia si era trasferita subito dopo la seconda guerra mondiale con tutta la sua famiglia nell’anno 1955.
Viveva bene e aveva trovato lavoro per se e per sua moglie Costanza, lui ottimo orologiaio, lei sarta e disegnatrice di modelli oggi chiamati desainer.
Una lunga passeggiata tra le strade e le piazze della città svizzera, in un giorno di sole ma con l’aria tiepida e frizzante.
Poi una locandina fermò i nostri passi presso la Kunsthaus, c’era una mostra, che raccoglieva i lavori pittorici e non, da Magritte a Dalì, tele raccolte nelle grandi e piccole sale della Kunsthaus, dove le paure e delle visoni notturne venivano rappresentate, visioni di un mondo onirico del periodo tra il 1890 e la fine del 1965, una visita veloce in una galleria di Zurigo, la Kunsthaus.
Nella rassegna c’erano le opere di Renè Magritte, Adolf Dietrich e di Henri Rousseau, capolavori di Felix Valotton e Salvador Dalì, lavori validissimi, insieme alle tele di alcuni autori semi sconosciuti ai più, come Camille Bombois, Andrè Bauchant e Nicolaus Stoechlin.
La mostra attraversava vari movimenti dell’arte di quel periodo. Si parte da Arnold Bocklin e Felix Vallotton dall’arte Naif, alla nuova oggettività fino al Surrealismo.
In totale circa trenta protagonisti, che nel periodo trattato hanno realizzato opere immaginifiche con piante paesaggi, animali e uomini descritti al confine tra realtà e immaginazione.
A loro dire erano sogni trasferiti su grandi tele realizzando opere immaginifiche e strane con piante, paesaggi, animali e uomini descritti al confine della realtà e immaginazione.
In rassegna, capolavori come “La malade”, dipinto da Felix Valotton a Parigi nel 1892, tela che va oltre l’impressionismo, riporta la pittura alla cura del dettaglio e sposta l’atmosfera dalla rappresentazione del reale al mondo soprannaturale e Portrait de Monsieur X (Pierre Loti), di Henri Rousseau, che si allontana dal Realismo cambiando le proporzioni e le prospettive del ritratto.
A mio avviso sembra quasi una tacita rivoluzione contro l’accademismo, gettando alle ortiche tutti gli anni regalati all’ Accademia a loro dire, quasi inutile.
La visionarietà pittorica cresce nelle ultime sale, tra le tele di Salvador Dalì, dove prevale la ricerca di forme e paesaggi bizzarri, come nel piccolo legno “Femme a tète de roses”, dipinto nel 1925, notiamo due figure allungate in primissimo piano, sembrano sorvegliare da una testa di leone sulla quale spunta un bosco, boeckliniano di cipressi.
Anna Sciacovelli