La notizia di poche ora fa dell’assalto a Pisa a sprangate di uno psichiatra, è giunta anche nelle sale del XXVI Congresso Nazionale della Società nazionale degli Psichiatri Forensi in corso ad Alghero fino a domani
“Ammesso che l’autore di questo atto sia un paziente, le motivazioni si spiegano attraverso l’identificazione della malattia nello stesso medico che da curante diventa suo persecutore. Si tratta di una persona – precisa dalla sede del Congresso SIPF Enrico ZANALDA, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense* – che non riconoscendo la sua patologia, attribuisce al medico il pericolo che avverte a causa della propria patologia e lo identifica come persecutore. E’ come se, sopprimendo lui, sopprimesse la propria angoscia e terrore ”
UNA CATEGORIA CHE SUBISCE VIOLENZA FISICA
“Quello degli psichiatri è un lavoro “pericoloso”. E’ la categoria che subisce più violenza fisica, dopo gli operatori al Pronto Soccorso. Trattiamo persone che hanno difficoltà a gestire gli impulsi, e non è sempre facile capire se ci sono messaggi più pericolosi di altri. E’ vero anche che se ci sono minacce precedenti, vanno prese sul serio e segnalate in Procura. La malattia, specie se acuta, determina uno sconvolgimento emotivo oltre che nel malato anche nelle persone vicine a lui. Nei reparti di psichiatria – spiega ZANALDA – la questione è legata soprattutto alla mancanza di consapevolezza della malattia che, se presente, determina una mancata collaborazione alle cure e talvolta il rifiuto delle stesse. Questi aspetti poi vengono talvolta enfatizzati dalla scarsa diffusione culturale delle problematiche collegate alla salute mentale”
ATTENZIONE A NON STIGMATIZZARE
“Non generalizziamo però la condizione del paziente psichiatrico con un collegamento semplicistico e stigmatizzante che determina eccessivo allarme sociale e paura dei nostri pazienti che nella stragrande maggioranza dei casi sono collaboranti e non violenti. Sarà la perizia psichiatrica ad attribuire la responsabilità della persona. Lo stigma verso la salute mentale – conclude ZANALDA – è dannoso quanto lo scarso finanziamento dei servizi di salute mentale che ancora avviene a distanza di oltre 40 anni dalla legge Basaglia”.
NUMERI DAVVERO ALLARMANTI
“In media vengono registrati 2.500 casi l’anno di infortuni legati all’evento aggressione nel comparto della Sanità e assistenza sociale, la maggior parte di essi avviene in case di cura e ospedali, ad essere più colpite sono le operatrici sanitarie di sesso femminile (75% dei casi). I medici – riferiscono un incremento di aggressioni del 63% dal 2011 al 2018, con una esplosione non quantificata legata al lockdown. E’ stabile il trend negli anni di aggressioni al personale sanitario che è purtroppo pari a circa 35 episodi / 10.000 addetti. I dati sottolineano come le donne siano più esposte, e come vi sia un progressivo spostamento verso i luoghi di esercizio della medicina territoriale (domicilio, strutture non ospedaliere). Esiste una legge – interviene Giovanna CRESPI, psichiatra e Segretario Nazionale della Società Italiana di Psichiatria Forense – che contiene delle buone proposte per tutelare i professionisti della sanità, anche se non è sufficiente perché serve maggiormente investire sulla professionalità e sulla tecnologia per rendere più efficiente il servizio sanitario. Attualmente la gran parte delle aggressioni (verbali e non solo), non vengono denunciate perché il sanitario dovrebbe effettuare direttamente l’esposto. Questo oltre che un’ulteriore perdita di tempo, rende il medico visibile all’autore del reato che potrebbe in futuro effettuare delle ritorsioni. Numerosi sono gli operatori sanitari che hanno il timore ad esporsi presentando la denuncia e perciò il fenomeno è sottostimato”.