L’estetica del “significabile”per la quale la bellezza dell’opera d’arte, al di là dal momento emozionale e strettamente legata a una significabilità ontologica, che pur non recando in se stessa alcun significato precostituito, sollecita tuttavia la coscienza del fruitore a farsi parte attiva del gioco quanto mai stimolante e coinvolgente dell’autosignificazione esistenziale.
Ciò non consente a un’arte veramente post-nichilista né di rifugiarsi nel vecchio “altro mondo” delle consolazioni metafisiche, né di insistere nell’ improduttiva e violenta negazione di quei principi e di quei valori che costituiscono la tradizione del nostro mondo.
Si tratta piuttosto, in una visione ermeneutica dell’arte e della vita, di recuperare quella perenne alterità che ci permette di rendere incessantemente,
“altro” il nostro mondo rinnovando e rinforzandone l’edificio in cui provvisoriamente abitiamo.
Di certo si tratta di vera e autentica pittura “engagè” che ha il dono gratuito non solo di una rapidità e certezza segnica, ma anche di un’inventiva costruttiva per il tramite di un fraseggio coloristico di rara sapienza tecnica e poetica.
E’ soprattutto il risultato visuale, cui non difetta lo impianto costruttivo e la distribuzione ottimale degli spazi, suscita nel visitatore una “capitatio benevolentiae” che accontenta la visione ludica dei giovani, quella ambientale e spaziale degli adulti, e non ultima, quella dei sapienti.
Che, in una sorta di full immersion, hanno una Sindrome di Sthendal o sindrome della Città di Firenze,(patologia psicosomatica, che può insorgere al cospetto di un’opera d’arte particolarmente evocativa, tachicardia, vertigini e stato confusionale). Non tanto per la finitezza e il sorprendente dettaglio che dell’epifanizzano un’eccezionale simbologia, quanto invece, per la copiosità d’imput cerebrali ed intellettuali, che rimandano alla cultura greca (e non solo).
E in ogni caso, sono quadri che estremizzano la penombra verso la vista chiara e fulminante di una scena originaria.
Il essi per dirlo con Marco Vinicio Guasticchi e Donatella Porzi, ogni oggetto, ogni costruzione, ogni gioco, ogni fantasia, ogni essere, per quanto noto e familiare, sono raffigurate come se stesse per presentarsi per la prima volta sulla scena del mondo. Se questa è ermeneutica, se tale è il processo di svelamento del reale quale Breccia, si è da sempre votato con la pittura.
Coltiviamo almeno un segreto sogno, che anche le pietre di questa Rocca, al quale si sostengono le opere, possano vivere grazie a esse il destino di sentirsi di nuovo come sulla scena della loro origine.
Anna Sciacovelli