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Agroalimentare italiano: +7,5% di export e 75 miliardi di valore nel 2024. Leader UE per qualità, sostenibilità e innovazione

Redazione Tgyou24.it Da Redazione Tgyou24.it
29 Luglio 2025
In Ambiente
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  • L’Italia è prima in Europa per valore aggiunto agricolo, con 42,4 miliardi di euro, pari al 18,2% del totale UE, e una filiera che vale 75 miliardi di euro, più di moda, arredo e automotive messi insieme.
  • Le esportazioni hanno superato i 70 miliardi di euro (+7,5%), spinte da 887 prodotti certificati DOP, IGP e STG (oltre il 60% destinati all’estero) e da performance record come il +50% dell’olio extravergine.
  • L’agricoltura biologica interessa il 18,7% della superficie agricola e coinvolge oltre 92.000 aziende, mentre l’innovazione ha beneficiato di 350 milioni di euro in investimenti AgriFoodTech nel 2024.
  • I mercati emergenti valgono il 20% dell’export, con crescite a doppia cifra in Polonia (+15,3%), Romania (+15,2%) e Cina (+9,7%), mentre l’introduzione dei dazi USA minaccia fino a 140.000 posti di lavoro e una contrazione dello 0,8% del PIL.
  • Il settore è responsabile di appena l’8,7% delle emissioni di gas serra, ma genera il 90% di quelle di ammoniaca, con la zootecnia concentrata al Nord: 66% dei bovini e 88% dei suini in Lombardia, Emilia e Veneto.

 

L’Italia si conferma leader in Europa per valore aggiunto agricolo, con 42,4 miliardi di euro nel 2024, davanti a Francia e Spagna, nonostante riceva meno sussidi pubblici rispetto agli altri grandi Paesi UE. Sempre più strategico per l’economia italiana, il settore ha generato un valore complessivo di 75 miliardi di euro, inclusi agriturismo ed energie rinnovabili, e ha raggiunto 70 miliardi di export (+7,5%), pari all’11% del totale nazionale. A trainare la crescita sono l’espansione del biologico, che coinvolge oltre 92.000 aziende e il 18,7% della superficie agricola nazionale, investimenti record nell’AgriFoodTech (oltre 350 milioni di euro nel 2024), e 887 prodotti certificati DOP, IGP e STG, di cui oltre il 60% destinati all’export, veri ambasciatori della qualità Made in Italy nel mondo.

Per Valerio Mancini, direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School, e autore del report “Il Futuro del settore food Made in Italy. Filiera, Export e Rivoluzione Green”, i numeri da record dell’agroalimentare italiano sono un buon segnale di resilienza e visione strategica in un contesto globale segnato da incertezze economiche e climatiche.

Un motore per l’economia: la filiera agroalimentare vale più del fashion e dell’auto

Il settore agroalimentare si conferma la prima filiera economica italiana, con un valore che supera di 2,3 volte quello della moda, 4,4 volte quello dell’arredo e design e addirittura 4,5 volte quello dell’automotive (The European House, 2024). Nel 2024 ha registrato una crescita del +3,5% in volume rispetto all’anno precedente, trainata soprattutto dai comparti della frutta (+5,4%), degli ortaggi freschi (+3,8%) e del vino (+3,5%). Considerando l’intera filiera estesa, dalla produzione agricola primaria fino all’agriturismo e alle agroenergie, il valore complessivo del comparto raggiunge i 75 miliardi di euro, secondo l’Osservatorio Riparte l’Italia.

L’Italia è quindi il primo Paese dell’UE per valore aggiunto agricolo, con una quota pari al 18,2% del totale stimato di 233,6 miliardi di euro. Pur classificandosi terza per volume di produzione (74,6 miliardi di euro), preceduta da Francia (89,4 mld) e Germania (75,5 mld), il nostro Paese si distingue per efficienza e redditività, anche grazie a una contrazione dei costi intermedi del -4,5%. L’agricoltura italiana è inoltre la meno sussidiata tra i grandi produttori europei, con un rapporto tra sussidi pubblici e valore aggiunto fermo al 12,3%, contro il 24,5% della Francia, il 21,9% della Germania e una media UE del 21,7%.

Nel 2024, la spinta all’innovazione è stata rafforzata da oltre 350 milioni di euro di fondi del PNRR e del piano Transizione 4.0, che hanno favorito l’adozione diffusa di tecnologie avanzate nella filiera: sensori IoT per il monitoraggio ambientale e l’irrigazione intelligente, blockchain per la tracciabilità certificata, automazione di precisione e piattaforme digitali per la gestione aziendale. Con più di 1.600 imprese specializzate nella lavorazione e conservazione di frutta e verdura, l’Italia si conferma leader europeo nel comparto agroindustriale, grazie a un ecosistema solido che integra grandi gruppi, PMI, startup, distretti produttivi e poli della ricerca. Un sistema che non solo genera valore, ma rappresenta anche un motore di coesione territoriale, transizione ecologica e competitività internazionale.

Export agroalimentare: un 2024 da primato per i prodotti italiani

Nel 2024 l’agroalimentare italiano ha toccato un nuovo massimo storico, con oltre 70 miliardi di euro di esportazioni, in crescita del +7,5% e pari all’11% dell’export nazionale. I distretti agroalimentari hanno generato 28 miliardi di euro, con un incremento del +7,1%, superiore alla media manifatturiera. L’Italia si conferma uno dei principali player globali dell’agribusiness, grazie a un sistema che unisce qualità e tracciabilità.

Tra i protagonisti della crescita: vini spumanti (+10% in valore), formaggi stagionati come Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+10,1%), olio extravergine (+50%), pasta, prodotti da forno, caffè e ortofrutta, che ha superato i 10 miliardi di euro in export. La bilancia commerciale dell’olio è tornata in attivo, grazie all’aumento di volumi e valore.

Secondo Fondazione Edison, per 41 prodotti agricoli l’Italia è tra i primi tre produttori UE, ed è prima per 16, tra cui carciofi, cime di rapa, kiwi e grano duro. Tra le regioni trainanti: Puglia, Sicilia, Toscana e Campania. Questa varietà è alla base del successo di molte filiere: olio toscano +43,5% verso USA, pasta e dolci di Alba +16,5%, mele dell’Alto Adige +18,9%, salumi del modenese +5,2%, con punte del +31,7% verso gli Stati Uniti.

I mercati emergenti hanno rappresentato il 20% dell’export complessivo, con aumenti a doppia cifra in Polonia (+15,3%), Romania (+15,2%) e Cina (+9,7%). “Il Made in Italy agroalimentare continua a espandersi con solidità, dimostrando resilienza e capacità di presidiare sia mercati maturi che nuove aree strategiche”, afferma Mancini.

Dazi USA: un rischio strategico per l’export italiano

L’introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump ha subito un’evoluzione significativa, aumentando la pressione sulle esportazioni italiane: inizialmente era previsto un dazio del 30% su una vasta gamma di prodotti UE, inclusi olio, vino, latticini e prodotti di pasticceria. Grazie all’ultimo accordo raggiunto il 27 luglio 2025 tra Trump e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, è stato fissato un dazio uniforme del 15% sulla maggior parte delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, evitando così lo shock economico iniziale di un’imposizione al 30%. Nonostante il trend di crescita dell’export verso gli Stati Uniti sia rimasto positivo nel 2024 (+14,9%), i nuovi dazi rischiano di rallentare bruscamente questo slancio. “Tutto ciò porta stabilità e prevedibilità, elementi cruciali per le imprese su entrambi i lati dell’Atlantico,” ha dichiarato von der Leyen al termine delle negoziazioni. Tuttavia, il dazio al 15% rappresenta pur sempre un aumento rispetto ai livelli pre-Trump (mediamente intorno all’1–5%) e pone ancora criticità per le esportazioni italiane agro‑alimentari (es. formaggi ~25%, pasta ripiena ~16%, olio extravergine ~17%, vino ~15%).

Secondo le stime Confindustria e Coldiretti, se i dazi venissero fissati al 10%, si potrebbero già perdere fino a 20 miliardi di euro di esportazioni e 118.000 posti di lavoro.  La risposta strategica, sottolinea il report, passa dalla diversificazione dei mercati: nel 2024 le esportazioni verso le economie emergenti sono cresciute del 7,7%, con ottime performance in Cina, Polonia e Romania, a conferma dell’urgenza di rafforzare nuove rotte commerciali.

“Il nuovo assetto tariffario evita lo scenario peggiore, ma richiede ora una strategia più sofisticata da parte delle imprese italiane: serve investire su innovazione, branding e apertura verso mercati alternativi per non subire una contrazione strutturale della nostra competitività internazionale”, afferma Valerio Mancini, autore del report e direttore del centro di ricerca divulgativo della Rome Business School.

Transizione ecologica: l’agroalimentare italiano verso un nuovo modello sostenibile

Nell’ultimo anno l’Italia ha raggiunto il 18,7% di superficie agricola in biologico, pari a 2,3 milioni di ettari, con oltre 92.000 aziende attive. I consumi interni hanno superato i 4,1 miliardi di euro, mentre il settore continua a migliorare le proprie performance ambientali.

L’agricoltura è responsabile di appena l’8,7% delle emissioni di gas serra in Italia, al di sotto della media UE, e ha ridotto del 7,8% le emissioni per unità di output (ISPRA, 2023). Resta però il principale responsabile delle emissioni di ammoniaca (90%), legate in gran parte al comparto zootecnico. Gli allevamenti sono fortemente concentrata al Nord: il 66% dei bovini e l’88% dei suini si trovano tra Lombardia, Emilia e Veneto, in particolare nelle province di Lodi, Cremona e Brescia. Questa concentrazione rende l’impatto ambientale particolarmente critico in alcune aree del Nord, dove la transizione richiede interventi mirati. Proprio per questo, nel 2024, grazie al PNRR, sono stati investiti oltre 350 milioni di euro in soluzioni digitali e sostenibili. Ma in questo scenario, le politiche europee impongono obiettivi ambiziosi: il Green Deal e il piano Fit for 55 puntano a ridurre del 55% le emissioni entro il 2030, mentre il Regolamento Effort Sharing assegna all’Italia un target specifico del -43,7% nelle emissioni agricole entro lo stesso anno. Raggiungerli richiederà un cambio di passo profondo, che integri innovazione, governance e riequilibrio territoriale.

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