Tempo permettendo, questa sosta mi porterà a fare una lunga e interessante passeggiata nella bellissima città di Agrigento.
Programmata la partenza da Palermo, lungo la strada che taglia in due sezioni la Sicilia, toccando Villafrati, Lercara, Casteltermini, Aragona, infine Agrigento con un percorso di circa 190 kilometri, che in circa tre ore, mi avrebbe dato la gioia di ammirare l’antico Monastero dedicato alla Beata Maria Virginis et Sancti Spiritus. Fondato dalla nobildonna Rosalia Prefoglio, chiamata anche Marchisia, moglie di Federico I di Chiaramonte, che in vecchiaia decise di donare l’intera struttura alle monache benedettine dell’ordine circense. Antica e famosa città della costa meridionale della Sicilia, fondata dai Greci-Rodio Cretesi nel 581 a.C. su un acrocoro vicino al mare, Agrigento divenne una città potente, i suoi domini si estesero fino alle coste settentrionali, iniziarono così le grandi costruzioni, che oggi formano la valle dei templi. Caduta in rovina fu ricostruita dagli arabi e dai normanni, sulla cima di un colle, lungo la via che porta al monastero di Santo Spirito.
Gli abitanti locali, in dialetto siciliano chiamano quel sito “Bataranni”, in italiano ”La Badia Grande”, per le imponenti dimensioni del monastero, nel quale le monache rimasero fino al 1866, attualmente è divenuto Museo Civico, con lo scopo di tutelare l’integrità del luogo.
Si percorre un lungo corridoio esterno, sul lato sinistro si nota il chiostro, un giardino ben tenuto fa da corollario a una fontana trecentesca, due archi sostengono le pareti della chiesa che confina con il monastero. Nel 1989 in una stanza a cripta fu trovata la tomba di una nipote della fondatrice Concetta Prefoglio, forse una delle ultime discendenti dell’aristocratica famiglia Chiaramonte. Nella sala dei marmi è posto un importante crocefisso marmoreo del quattrocento, dov’è raffigurato il Cristo con la Maddalena e San Giovanni Battista, nel retro della scultura i simboli che richiamano la resurrezione di Cristo.
Il soffitto ligneo a cassettoni prende il nome della sala, e per l’affresco, dov’, è raffigurato San Francesco d’Assisi, Papa Celestino V e San Antonio da Padova, ospita oggetti e ornamenti rudimentali del periodo arabo greco-ellenistico.
Al secondo piano sono conservati oggetti di uso domestico, detta etno-antropologica, Antonino De Gubernatis, che richiama la civiltà siciliana tra la fine dell’ ottocento, e gli inizi del novecento.La stanza è talmente ricca di strumenti diversi, che si possono suddividere in tanti rami quelli, di lavoro e alcuni necessari alla casa, come lo scaldino da letto e il grande ferro da stiro, dei mestoli di bronzo, non mancano i numerosi attrezzi agricoli, quelli per dissodare la terra, le falci e roncole per tagliare il grano, strumenti di misura bilance e bilancini diversi, fanno bella mostra sulle ordinate mensole. Da non sottovalutare, la conservazione dei strumenti musicali, piuttosto popolari, come tromba, arpa, cornamusa, tamburi, nacchere, zufoli, flauti, sistro, tibie, campane e buccine.
Dopo un intero pomeriggio, era ormai arrivata la sera, dopo aver visto il sole del tramonto, bagnarsi in acqua lentamente, si decise di riprendere il viaggio di ritorno, arrivare a Palermo, per il nostro meritato riposo notturno.
Anna Sciacovelli