Storia di Olimpia, un’anziana vedova della città vecchia, nel mio ricordo di ragazza, vicende di una Bari che non c’è più. Eravamo negli anni 40, a Bari, per vendere l’acqua di mare ci voleva il permesso e robusti venditori, spingendo dei piccoli carri botte, offrivano alle massaie l’acqua di mare per impastare la semola, la farina, la sopa semola, che costava meno. In quegli anni, il sale sia grosso che fino, costava molto per impastare la semola si adoperava l’acqua di mare. Dalle mani delle massaie erano lavorate, con semole, diverse qualità di pasta fresca tra le quali taglioline, strascinate, menenicchie, tridde cappidde du prevete, lagana e fascianecchie.
Per preparare queste prelibatezze, oltre all’acqua di mare che un sapore diverso alla pasta, le donne si aiutavano con il coltello chiamato Sferra, un coltello speciale senza manico per agevolare meglio la mano delle massaie. Altri strumenti che servivano alla massaia per la pasta, u laganare, il tavoliere, la madia, il mattarello il setaccio la spatole e la rasola, che serviva per pulire il tavoliere.
Gli uomini che vendevano l’acqua di mare avevano una particolare divisa composta di un lungo camice grigio, un berretto con visiera sulla quale splendeva una targhetta con, su scritto, ”Acqua di Mare.”
Un secchio di acqua, costava meno di un kilo di sale venduto dal Monopolio ma la gente della città vecchia, non si poteva permettere di spendere quei pochi centesimi, per questo, alle prime ore del mattino, andavano vicina alla banchina e raccoglievano l’acqua dal mare.
Spesso tra gli scogli si nascondevano i finanzieri, che quasi sempre in agguato, comminavano multe salate alle donne per il mancato introito riveniente dalla non vendita del sale.
Dopo tre volte cadevano sulla testa delle donne, diffide e arresti, una di queste di nome Olimpia aveva due figlie, una Agnese e l’altra si chiamava Domenica, aveva perso il marito allo scoppio della nave il 9 aprile 1945 e non sapendo come sbarcare il lunario, s’ingegnava a fare il pane e la pasta in casa.
Un giorno del mese di giugno, avendo avuto l’ordinazione di fare il pane in ricorrenza di Sant’Antonio, andò nei pressi del porto a raccogliere due secchi di acqua marina mentre tirava i secchi, arrivarono i finanzieri, i quali l’avevano avvisata l’ultima volta che era stata sorpresa a prendere l’acqua.
Rossa in viso e tremante come canna al vento Olimpia dette i suoi connotati, dai Carabinieri era conosciuta, fu redatto un verbale e fu condotta in Caserma dal Capitano il quale non volle sentire ragioni, fu condotta dinanzi al giudice che sentenziò una grossa ammenda e sei mesi di carcere per reiterazione di furto a carico dello Monopolio dello Stato.A questo punto, dopo aver saputo questo fatto tutte le donne della città vecchia, si radunarono in corteo portandosi verso il tribunale gridando che volevano parlare con il giudice. Salirono sino al secondo piano del palazzo di Giustizia,attraversarono
il corridoio, una donna la più giovane, aprì la porta e al giudice Impaurito per la loro presenza, mostrarono le due bambine della condannata, la prima di otto anni e la seconda di sei, entrambe avevano ossa che sporgevano da ogni dove. La multa dopo una colletta nei vicoli tra le donne che impastavano pane, fu pagata da tutte le donne, mentre il giudice, da parte sua, decise, che gli arresti sarebbero scattati la prossima volta, che la prendeva in flagranza.
Dopo alcuni mesi fu bandito un concorso, alla Manifattura dei Tabacchi, solo per le vedove dello scoppio della nave di Bari del 9 aprile 1945, la donna non potè partecipare perché il suo certificato penale risultava macchiato. Per questo stupido motivo, raggiunta la maggiore età, nemmeno per le due figlie fu possibile accedere nei posti governativi, continuarono a fare per anni la pasta in casa accasandosi entrambe con due fratelli, che lavoravano in un negozio di stoffe.
Anna Sciacovelli