Il conferimento della dote delle donne, quando contraevano matrimonio, rappresentava, nella città di Bari, uno dei più importanti istituti giuridici ed era accuratamente disciplinato dal XIII delle consuetudini Barenses codificate da Andrea da Bari. A costituirla potevano essere il genitore o un qualsiasi individuo, ma l’atto formava oggetto, in ogni caso, del contratto nuziale stipulato davanti a un notaio, prima delle nozze: esso comprendeva la descrizione dei beni che venivano per questo attribuiti ed elencazione d’ogni possibile clausola cautelativa.
Molto numerosi sono gli esempi ricorrenti nel Carteggio dei nostri archivi e ricchi, comunemente d’innumerevoli dettagli intorno ai punti più svariati. Uno di tali casi è rappresentato dai capitoli matrimoniali, che un certo Pietro di Bisanzio, nativo di Monopoli fece stipulare a Bari nel giugno 1088, XI indizione, alla presenza del giudice Miro e di due testimoni, nel dare in sposa la figlia Trottula al bitontino Maio, figlio del chierico Leone.
Il documento è custodito nell’archivio di San Nicola. Contiene l’elenco dei capi di corredo e dei gioielli che la ragazza recava in dote.
Questi consistevano in svariati indumenti, quali un diopezzi, “due pezzi”,(Mutande e corsetto),una fuffude, ( vestaglia in tessuto sciamito, decorato a pois), un babadiki,( camicia di cotone ricamata), una lencia (scialle) e altro, insieme a parecchi utensili, casalinghi, dei quali la mancanza di raffronto, non consente di spiegare il significato, e anche quattro anelli, un paio di begli orecchini e diversi solidi d’oro, in aggiunta a queste cose, le furono assegnati le due schiave i cui nomi erano Maria e Rosula, che erano, madre e figlia.
Fra i patti concordati, vi era la clausola che, se Trottula fosse morta lasciando prole in maggiore età, tutto sarebbe passato in loro proprietà, tranne la roba rotta o consunta a causa del tempo: se qualcuno di essi, fosse invece passato a miglior vita, la successione sarebbe avvenuta tra germani superstiti, escludendone comunque il genitore; nel caso in cui tutti quanti fossero morti, la dote sarebbe tornata nelle mani del costituente o dei suoi legittimi eredi, così come sarebbe avvenuto se Trottula, fosse morta senza figli.
A siffatte condizioni, il suocero Pietro consegnò la dote al genero Maio, il quale gli presentò come garante la sua stessa persona e il barese Romoaldo, figlio del protospatario imperiale Pietro, promettendo di pagare, in caso d’ inosservanza dei patti e delle clausole come sopra concordati, la penale di 100 solidi di oro e altrettanti come pubblica ammenda.
Anna Sciacovelli









