Nei primi quattro mesi del 2025 il prezzo dell’elettricità in Italia ha toccato i 136,2 €/MWh, il valore più alto tra i grandi Paesi UE, superando di molto Germania (112,5 €/MWh), Francia (94,5 €/MWh) e Spagna (80,9 €/MWh). Di fatto, il divario tra i prezzi dell’elettricità in Italia e Spagna è del +68% a danno del nostro Paese. Il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso dipende, per sua natura, dal prezzo della fonte marginale utilizzata nella generazione di elettricità, che nel caso italiano risulta spesso essere rappresentata dal gas naturale. Nel mix italiano di energia primaria tra il 2021 e il 2023 l’utilizzo di gas naturale si è ridotto in misura elevata (-5,1 p.p.), compensato da un lato da un ridotto aumento della copertura delle rinnovabili (+0,9%), che hanno raggiunto il 20,5% del mix energetico (best in class tra le potenze europee), dall’altro da un incremento del petrolio di 3,6 p.p, segno di una transizione ancora incompleta.
Questi elementi, letti in parallelo, suggeriscono che l’obiettivo di ridurre le emissioni non può basarsi unicamente sull’aumento della quota di energia pulita, ma deve passare necessariamente anche per una diminuzione assoluta dei volumi energetici utilizzati, a parità di PIL. È in questa direzione che si gioca la sfida della transizione: non solo sostituire fonti, ma anche ripensare la scala dei consumi. “Ridurre la domanda, attraverso misure di efficienza, riorganizzazione dei processi produttivi e cambiamenti nei comportamenti individuali, è la via congiunta per abbattere in modo strutturale le emissioni climalteranti. Solo così sarà possibile diminuire la dipendenza dai combustibili fossili e raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica al 2050”, afferma Massimiliano Parco.
Queste tra le conclusioni del report “Energia e Transizione in Italia e in Europa” di Rome Business School, a cura di Francesco Baldi, Docente dell’International Master in Finance di Rome Business School; Massimiliano Parco, Economista, Centro Europa Ricerche e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School.
Fossili ancora dominanti: il 72% del mix energetico italiano viene da petrolio e gas
Secondo Eurostat, nel 2023 il 35,4% del mix energetico italiano era ancora coperto dal gas naturale, quasi il triplo rispetto alla Francia (13,1%) e ben sopra Germania (25%) e Spagna (21,7%). Il petrolio ha raggiunto il 36,7%, segnando un incremento di +3,6 punti percentuali rispetto al 2021. Le rinnovabili, invece, sono cresciute di appena +0,9 punti, il valore più basso tra i Paesi analizzati, mentre il gas naturale è la seconda fonte di maggior consumo in Italia (35,4%).
Nel 2023, oltre il 65% delle emissioni complessive dell’UE-27 è stato generato da cinque Stati membri: Germania, Italia, Francia, Polonia e Spagna, e tutti dal 2025 ad oggi hanno progressivamente ridotto i propri livelli di emissioni per unità di Pil prodotta. La Francia spicca per registrare i livelli di inquinamento, a parità di PIL, più bassi (0,14 nel 2024). Di poco superiore e su livelli simili si posizionano la Germania (0,18), l’Italia (0,19) e la Spagna (0,20).
Tra il 2005 e il 2023 l’Italia ha ridotto le emissioni di gas serra di oltre il 35%, ma il ritmo si sta rallentando. Stime del Centro Europa Ricerche (CER) indicano una flessione del -3% per il 2024, contro il -6,4% dell’anno precedente. Nel 2023, i settori energia, manifattura e costruzioni sono stati i principali responsabili delle emissioni italiane, con una quota del 34,7%, a fronte del 46,5% in Germania, dove il carbone è ancora molto presente, e del 19,9% in Francia, grazie all’elevato uso del nucleare. Il settore dei trasporti incide per un ulteriore 28,2% delle emissioni italiane, mentre gli usi civili (riscaldamento ed edifici) pesano tra il 16% e il 18%. Le emissioni da agricoltura rappresentano l’8% del totale nazionale, contro il 16,8% della Francia. Queste differenze strutturali evidenziano come le strategie di mitigazione debbano essere calibrate sui diversi settori chiave per ciascun Paese.
Dipendenza dall’estero: Italia la peggio tra le principali economie europee
Nel 2023 l’Italia ha importato il 74,8% dell’energia consumata, la quota più alta tra i principali Paesi europei (Eurostat). La Spagna si è fermata al 68%, la Germania al 66%, mentre la Francia ha limitato la propria dipendenza al 45% circa. Nonostante il calo dei consumi del -25% rispetto al 2005, l’autosufficienza resta lontana. “Questo divario significa che tre quarti del fabbisogno energetico nazionale italiano dipende da fornitori esteri, con implicazioni dirette su sicurezza, costi e continuità dell’approvvigionamento”, afferma Francesco Baldi.
A fronte di una produzione rinnovabile ancora insufficiente, appena 10 mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2023, pari al 44% della generazione elettrica, l’Italia non ha saputo compensare la riduzione dell’import di gas con una crescita significativa delle fonti pulite. Anzi, nello stesso periodo, è aumentato il peso del petrolio nel mix nazionale (+3,6 punti percentuali), rafforzando una dipendenza da fonti estere e inquinanti (Eurostat). Questo significa anche essere costantemente esposti a oscillazioni geopolitiche e speculative, come già avvenuto con l’impennata dei prezzi seguita all’invasione dell’Ucraina.
La comparazione storica sottolinea il ritardo italiano anche sul fronte dell’autosufficienza: dal 2005 al 2023 la Germania ha aumentato la produzione rinnovabile del +8,4% medio annuo, la Spagna del +7%, la Francia del +5,3%; l’Italia si è fermata a +5%. Tuttavia, secondo Francesco Baldi, “In tutti i Paesi le fonti a basse emissioni faticano a diventare dominanti, e la quota complessiva di energia prodotta da combustibili fossili resta troppo alta per garantire una riduzione sostenuta e duratura delle emissioni.”
Tecnologie abilitanti: l’Italia investe, ma resta indietro
La transizione energetica europea si gioca su sei tecnologie chiave: fotovoltaico, eolico, batterie, veicoli elettrici, pompe di calore ed elettrolizzatori. Insieme, valgono oltre 700 miliardi di dollari di investimenti annui a livello globale. L’Italia partecipa a questa corsa, ma con numeri inferiori rispetto ai principali partner europei, frenata da ostacoli normativi, ritardi infrastrutturali e mancanza di coordinamento tra livelli istituzionali.
Sul fronte dell’idrogeno verde, l’Italia punta a 5 GW di elettrolizzatori al 2030, contro i 10 GW della Germania, i 6,5 GW della Francia e i quasi 27 GW annunciati dalla Spagna, leader europeo in termini di capacità progettuale. Anche nella mobilità elettrica, il divario si conferma: nel 2023, le auto elettriche hanno rappresentato meno del 10% delle immatricolazioni italiane, contro oltre il 15% in Germania e Francia. Le pompe di calore, essenziali per decarbonizzare il riscaldamento, vedranno una forte diffusione nei prossimi anni: l’obiettivo UE è 30 milioni di installazioni entro il 2030. L’Italia partecipa con progetti incentivati dal PNRR: 1 miliardo per filiere green e 740 milioni per infrastrutture di ricarica, ma la scala degli interventi resta limitata rispetto alla domanda.
È anche importante guardare il contesto globale, fortemente competitivo: l’Italia è già molto dipendente da fonti di energia estere, ma non è la sola per quanto riguarda l’approvvigionamento di materiali e tecnologie per lo sviluppo di fonti rinnovabili. Infatti, la Cina detiene tra l’85% e il 98% della produzione mondiale di componenti per batterie, solare, pompe di calore ed elettrolizzatori. Questo squilibrio ha spinto Bruxelles a varare il Net-Zero Industry Act e il Critical Raw Materials Act, fissando l’obiettivo del 40% di capacità produttiva interna in tecnologie pulite entro il 2030.
Nel complesso, l’Italia si trova in una condizione di fragilità strutturale ma anche di possibile rilancio. Colmare il divario con gli altri Paesi europei richiederà un’accelerazione netta rispetto all’attuale ritmo di crescita e una visione di lungo periodo. “La transizione energetica non è più una scelta, ma una necessità competitiva,” conclude Valerio Mancini. “Servono una strategia industriale integrata, investimenti mirati e una governance più efficace. L’alternativa è restare indietro, pagando il prezzo più alto, economico e ambientale, in Europa.”