Negli ultimi anni, le immagini di conflitti sanguinosi in Gaza e in Ucraina hanno scosso l’opinione pubblica mondiale. Ogni giorno, civili innocenti perdono la vita a causa della violenza, delle bombe e delle devastazioni dei conflitti armati. Questi eventi tragici pongono interrogativi profondi sulla responsabilità delle potenze mondiali, in particolare degli Stati Uniti, nella gestione delle crisi internazionali. Nell’era Trump, molti critici ritengono che gli Stati Uniti siano stati dalla parte sbagliata della storia, mentre la domanda sorge spontanea: come sarebbe stato il mondo se Kamala Harris fosse stata presidente?
Durante la presidenza di Donald Trump, la politica estera statunitense ha subito un cambiamento radicale. La sua amministrazione ha spesso adottato una posizione ambivalente nei confronti di conflitti come quello israelo-palestinese e la crisi in Ucraina. La decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e di spostare lì l’ambasciata americana ha sollevato enormi polemiche e contestazioni, aumentando le tensioni nella regione. In questo contesto, i diritti dei civili palestinesi sono sembrati passare in secondo piano rispetto agli interessi geopolitici.
Allo stesso modo, negli anni di Trump, la Russia ha intensificato la sua aggressione contro l’Ucraina, provocando conflitti e morti tra la popolazione civile. L’amministrazione ha mostrato una certa avversione nel democraticamente sostenere l’Ucraina contro le mire espansionistiche di Mosca, portando a un vuoto di potere che ha aggravato la situazione umanitaria. Questo ha portato a una crescente insoddisfazione tra gli alleati europei, che hanno cercato di mantenere una posizione forte di fronte alla Russia.
Kamala Harris, ha sempre sostenuto l’importanza di un approccio diplomatico e di una solidarietà attiva con le nazioni in difficoltà. Se fosse stata presidente durante i conflitti attuali, è verosimile pensare che avrebbe adottato una linea più proattiva e solidale nei confronti delle vittime civili. Il suo impegno per i diritti umani e la giustizia sociale si riflette nelle sue dichiarazioni e azioni, suggerendo che potrebbe cercare di mitigare i danni subiti dai civili sia a Gaza che in Ucraina.
In effetti, la sua figura emblematica rappresenta una svolta significativa rispetto alle politiche dell’era Trump. Harris ha dimostrato attenzione verso le questioni legate ai diritti civili e umani, e ha promosso una narrativa che condanna le ingiustizie e le discriminazioni. Un’amministrazione Harris, quindi, avrebbe probabilmente messo un’enfasi maggiore sull’assistenza umanitaria e sul supporto internazionale per le popolazioni colpite, cercando alleanze strategiche con gli altri stati per affrontare le crisi in corso.
Tuttavia, le sfide che Kamala Harris o chiunque altro si trovasse ad affrontare sarebbero state enormi. La complessità geografica, storica e politica della regione medio-orientale e dell’est europeo richiede non solo una comprensione profonda, ma anche una volontà di mediazione e compromesso che potrebbe mancare in un clima di crescente polarizzazione politica.
Nonostante le buone intenzioni, il rischio di escalation dei conflitti rimane elevato, e le decisioni politiche possono avere conseguenze imprevedibili. Le aspettative su una leadership più compassionevole e responsabile potrebbero essere frustrate dalla resilienza delle forze in gioco, dalle pressioni interne e dalla realpolitik.
In conclusione, la situazione attuale in Gaza e in Ucraina porta con sé un tragico costo umano che non può essere ignorato. Mentre si discute se Trump o Harris avrebbero fatto meglio, è fondamentale ricordare che dietro a ogni cifra e statistica ci sono vite umane e storie di sofferenza. Ogni leader deve, quindi, riflettere l’urgenza di costruire ponti piuttosto che alzare muri, affinché il diritto alla vita e alla dignità di ogni individuo, ovunque esso si trovi, venga rispettato e tutelato. La storia continua a scriversi, e le scelte di oggi influenzeranno il futuro di milioni di persone.