Intervista a Domenico Amicuzi, asset manager immobiliare che racconta la sua visione di un mercato immobiliare capace di generare valore economico e sociale, con uno sguardo al futuro delle comunità locali.
In un mondo sempre più interconnesso e vulnerabile, la gestione e lo sviluppo del patrimonio immobiliare assumono un significato che va ben oltre la mera logica di profitto. Il settore immobiliare, spesso accusato di alimentare la speculazione, il consumo indiscriminato di suolo e la gentrificazione, si trova oggi di fronte a una sfida epocale: riconciliare la redditività con l’impatto sociale e ambientale delle proprie azioni. Questa sfida è ancora più rilevante in Italia, un Paese la cui identità culturale e paesaggistica rappresenta una risorsa preziosa, ma anche un dovere morale da tutelare.
La crescente attenzione verso i criteri ESG (Environmental, Social, Governance) e la rigenerazione urbana testimoniano una trasformazione profonda del settore. L’energia proveniente da fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni di CO₂, l’inclusione sociale e la valorizzazione del territorio sono diventati temi centrali per chi opera nel real estate e per chi investe in questo comparto. Le nuove generazioni, in particolare, chiedono a gran voce una svolta: vogliono vedere progetti che siano espressione di rispetto per l’ambiente e di cura per le comunità, non solo di ritorno economico.
In questo contesto si inserisce la figura di Domenico Amicuzi asset manager immobiliare e presidente dell’Associazione di Promozione Sociale La Fenice, realtà impegnata nella promozione culturale e nella sensibilizzazione alla sostenibilità. Associate Member di RICS (Royal Institution of Chartered Surveyors), Amicuzi si distingue per una visione che mette al centro la responsabilità etica del settore e l’importanza di generare valore condiviso, sia sul piano economico sia su quello sociale e ambientale.
Lo abbiamo intervistato per approfondire la sua visione e capire come sia possibile, anche nel real estate, unire crescita economica e cultura del bene comune.
Qual è secondo lei la responsabilità etica di chi opera nel settore immobiliare oggi?
“Chi lavora nel real estate deve essere consapevole che ogni decisione ha un impatto diretto e duraturo sul territorio e sulle persone che lo abitano. La responsabilità etica consiste nell’andare oltre i numeri e le tabelle di rendimento, ponendo attenzione alla qualità della vita che i progetti contribuiscono a generare. Siamo chiamati a riconoscere il valore intrinseco dei luoghi, rispettando la loro identità e la storia che portano con sé. È una responsabilità che riguarda tutti: investitori, sviluppatori, amministrazioni e cittadini, ciascuno nel proprio ruolo.”
Come si possono coniugare le logiche di profitto e impatti sociali nei progetti di sviluppo immobiliare?
“Credo che la chiave sia integrare la dimensione economica e quella sociale già nella fase progettuale. Questo significa partire da un’analisi del contesto e ascoltare le esigenze delle comunità locali, per creare spazi che siano utili e che generino inclusione. In concreto, significa pensare a servizi, spazi verdi, accessibilità e impatto ambientale, ma anche a relazioni e qualità della vita. I progetti immobiliari che riescono a creare valore condiviso hanno spesso un rendimento più solido e duraturo, perché rispondono a una domanda reale e a un senso di appartenenza che va oltre la proprietà fisica degli edifici.”
Qual è oggi, secondo lei, il ruolo del real estate nella transizione green?
“Il real estate gioca un ruolo fondamentale: gli edifici sono responsabili di una parte significativa delle emissioni globali e, al tempo stesso, rappresentano uno degli ambiti con maggiore potenziale per la decarbonizzazione. La transizione green richiede coraggio, investimenti e innovazione, ma anche la consapevolezza che ogni intervento può contribuire alla salute del pianeta. Le tecnologie ci offrono strumenti straordinari, dalle soluzioni per l’efficienza energetica alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Tuttavia, la vera sfida è culturale: significa cambiare mentalità e adottare una visione a lungo termine, dove la sostenibilità non è un costo ma un valore.”
Che visione ha del futuro del settore immobiliare in Italia?
“Vedo un settore che sta cambiando, spinto da nuove sensibilità e da una crescente domanda di qualità e trasparenza. Il futuro del real estate in Italia sarà sempre più legato alla rigenerazione urbana, alla valorizzazione dell’esistente e a progetti che integrino le dimensioni ambientali e sociali. Credo che i professionisti del settore dovranno sviluppare competenze trasversali: non solo tecniche e finanziarie, ma anche relazionali, per creare un dialogo autentico con le comunità e con gli stakeholder. In questo senso, la cultura immobiliare italiana ha un potenziale straordinario: siamo un Paese ricco di storia e di talento, dobbiamo imparare a trasformare questi elementi in leve per una crescita che sia realmente sostenibile e inclusiva.”
“Ogni investimento immobiliare è un atto che lascia un’impronta sul territorio: dobbiamo scegliere quale tipo di impronta vogliamo lasciare.” Con queste parole, Domenico Amicuzi ci ricorda che il real estate non è soltanto un settore economico, ma un ambito che può, e deve, contribuire a migliorare la vita delle persone e a tutelare le comunità locali. In un’epoca in cui le sfide globali ci chiedono di ripensare i nostri modelli di sviluppo, il real estate può diventare uno strumento di rigenerazione culturale e ambientale. Un impegno che riguarda tutti noi: dai professionisti del settore agli investitori, dalle amministrazioni ai cittadini, fino alle giovani generazioni che, oggi più che mai, chiedono progetti che siano espressione di una cultura immobiliare orientata al bene comune, non solo al ritorno economico.