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Home You Donna Cultura e Spettacolo

Circus

Redazione You Donna Da Redazione You Donna
18 Agosto 2018
In Cultura e Spettacolo, You Donna
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Dedico questa raccolta di opere, a “Ambleto”, mio padre, alla sua famiglia e a tutti gli artisti operatori, musicisti, impresari, di grandi e piccoli circhi e di tanti altri, che quotidianamente con impegno, sudore, volontà e sacrifici, fece e continuarono a mantenere in vita, tramandando nel tempo quest’antica tradizione circense.

A tutti loro, che ancora esercitano, questo lavoro, rivolgo il mio personale ringraziamento per le emozioni, che ancora oggi sono in grado di donarci.

In questa mia nota, che è sola serena nostalgia, farò sì, che il mondo pittorico, del circo che ho dipinto, continui a essere rivissuto nelle nostre menti e possa ancora donare emozioni e sogni a tanti altri bambini.

 

Prefazione

Come un soffio di vento, capace di poter sollevare cumuli di cenere grigia, da lungo tempo adagiata sul mio cuore che oggi,  come un vortice, benefico lascia emergere dalla polvere  i miei ricordi, affiorano vividi quasi reali, non so se tutto questo possa cancellare per sempre  l’indelebile malinconia o il peso dei ricordi che riaffiorano nella mente, ma anche se sbiaditi dal tempo sono ricordi che non scompaiono mai, poiché assopiti nei sotterranei dell’anima.

Spesso, in questi ultimi tempi, la notte è l’unico momento in cui la mia mente, come in un vecchio filmato, propone immagini e volti insieme a mille domande senza risposte.

Allora i pensieri accumulati negli anni, lentamente prendono forma e mi permettono di ritrovare nei ricordi del tempo, tutte le immagini e figure sfumate, ma sempre vive nel mio cuore.

Le quali, mi danno una grande emozione e commozione, immagini che avevo dimenticato quasi svanite nel tempo, che ritrovo sbiadite nella memoria, che come corona di un rosario, si rincorrono lasciando nella mia mente spazio ad altri ricordi.

Tante sono le domande alle quali urge una risposta, ma i miei ricordi non hanno nulla da dire quindi prive di risposta, tacciono, ma dalle quali posso trarre solo delle deduzioni, e mai concrete certezze o conclusioni.

Perché tali domande, restano prive di un’eco di ritorno, come sempre accade, il bambino di un tempo, ora lascia spazio all’uomo di oggi, solo fugaci ma, intensi ricordi, fanno trasparire l’irrazionalità del tempo trascorso ma non vissuto.

In fondo cos’è un ricordo? E’ qualcosa che non c’è più, un periodo, gioioso o triste della nostra vita che non è mai andato via, è lì fermo, in attesa, sempre pronto, a riaffiorare alla prima occasione che gli è data, meglio sarebbe soffermarsi su un ricordo e tentare di poter dare una risposta a qualcosa che volevamo sapere, che per certi versi è rimasta solo la domanda senza una risposta certa.

L’arte ha avuto sempre un ruolo importante, nella maggior parte della mia quotidianità, tanto da divenire una fedele compagnia di vita.

In questi lunghi anni, tante opere che ho creato e manipolato per farle nascere, sono andate via, altre le ho scomposte per essere proposte in nuove vesti, giusto come passare il tempo.

Un Giorno dopo l’altro, trascorsi in toni silenziosi e altri immersi da melodie, intensi e acri odori rilasciati dai solventi, da tavolozze sempre intrise di colori, da mani unte, abiti macchiati indelebilmente, fanno da cornice al mio studio divenendo un luogo in cui spesso i ricordi si concretano, trasformandosi in nuove fonti d’ispirazione.

Una passione quell’artistica, innata e sempre presente ma, sottovalutata da parte dei miei genitori ”ma questa è tutta un’altra storia”.

Un giorno, non tanto diverso dagli altri, come il mio solito, recandomi al laboratorio atelier, con gesti consueti, che si ripetono all’infinito, come predisporre i pennelli e i colori e la tela da dipingere o adoperarmi per portare a termine l’opera già iniziata.

Spesso, per abitudine, cerco di nascondere i miei pensieri, nell’ascolto di brani musicali trasmessi dalla radio, che in verità diventa una fonte di compagnia, capace di rendere più gradevole e piacevole la mia permanenza, nello studio, talvolta, ascolto canzoni basandomi sulla musicalità del brano o soffermandomi sulle parole sul loro contenuto, spesso anche da un messaggio contenuto in alcune frasi.

Un giorno, uno in particolare, mentre ero assorto a dipingere, si diffuse nell’etere una dolce melodia per le mie orecchie, le cui frasi, citate nel testo, riuscirono ad attrarre la mia attenzione, nel suo inciso echeggiavano una frase “nel 950… nel 950” una canzone che in seguito sarà da me ricercata e più volte riascoltata, per comprendere al meglio le parole del testo. Un brano composto di un cantautore italiano “Amedeo Minghi” nel quale, declamava quell’anno come un momento ricco di ricordi, un periodo ben preciso e indelebile del suo tempo.

Nato a Bari nel gennaio del 1950 il “refrain” di quella canzone suscitò in me una nota di riflessione tale, da dover fermare il tempo e soffermarmi ad ascoltare serenamente un emisfero cerebrale nel quale erano stati disposti, in modo confuso, irrazionale, immagini e ricordi assopiti o non ben definiti del mio trascorso. Una sensazione emotiva, che fu da me percepita come messaggio premonitore, affinchè potessi rintracciare partendo dal 50 una serie di eventi.

Nacque così un diario memoriale, in cui avrei potuto annotare appunti di vita, per essere in seguito custoditi in un baule temporale, colorato di grigio dalla polvere adagiata del mio vissuto, uno spazio in cui avrei potuto collocare, analiticamente frammenti emotivi ed evocativi della mia gioventù, un baule in cui depositare memorie scomposte, fatte da toni gioiosi e tristi della mia vita.

Come artista sentivo il bisogno di dover creare attorno alle mie memorie un’iconografia storica che meglio potesse rappresentare  luoghi e  personaggi.

Posso dire, che fu “l’imput”, che mi condusse come artista a dovermi documentare sul profilo storico-sociale di quel periodo, per tale ragione, ho voluto, attraverso un’esposizione di una raccolta di opere, far omaggio a quegli anni”50”, un periodo nel quale non fui mai protagonista cosciente, ma le cui informazioni si sono rese utili come fonte preziosa di personale e collettiva memoria che potesse diventare luogo reale e scenografico della mia infanzia.

La mostra è stata intitolata ”I LOVE 50’ immaginando il futuro”, vuol essere il segno tangibile del cambiamento del passato raffrontato alla contemporaneità, un tentativo pittorico nel quale si potesse creare un percorso visivo, capace di poter parlare della nostra storia, la voglia di vita e di rinascita di questa stagione.

Il 1950, non sarà ricordato solamente come anno della mia nascita, ma anche con avvenimenti che furono decisivi per l’intera famiglia Sciolan e che in seguito racconterò.

 

Mia madre barese conobbe e in seguito sposò Ubaldo, soprannominato nel gergo circense “Ambleto” un acrobata del circo, meglio identificato come “girovago”. Egli proveniva dai lontani paesi del nord, dell’Italia, militare di leva a Bari, per assolvere gli obblighi di leva in quel tempo lontano, all’ombra dell’ultima guerra.

 

 

In quegli anni mia madre, gestiva una sua piccola bottega, adoperandosi come rammendatrice e con l’ausilio di un piccolo macchinario tessile sbarcavano il lunario, ricucendo e riparando piccole smagliature alle calze di nailon, “lingerie femminili” sempre più in voga in quel periodo del dopo guerra. Molte signore ricorrevano al suo lavoro, affinchè, una volta rammentate, potesse essere ancora riutilizzate, visto il costo di acquisto molto elevato.

Spesso chiedevo ai miei genitori come si fossero conosciuti e dai loro racconti, mio padre asseriva che fu per caso. Mentre era in libera  uscita, passeggiando per quella via, notò quell’esile figura, seduta dietro ad una vetrina, assorta dal suo lavoro mia madre riferiva che sentitasi osservata, gli rivolse uno sguardo privo d’interesse, rivolto a una comune persona passata da quella via per caso, fermatasi a osservare incuriosita per la sua manualità.

Sembra, che fu il caso o così volle il destino a farli incontrare, l’audacia di mio padre, la sua costante perseveranza, seguita da sempre più frequenti e successivi “appostamenti” fecero sì che gli sguardi alla fine si potessero incrociare e far scaturire per entrambi un interesse che confluirà nel tempo, in conoscenza, fidanzamento e matrimonio in quell’anno 1944.

Il tempo diviene custode di memorie, quasi un viaggio straordinario nel tempo mi porta a ricordare episodi, che fanno parte, del mio passato e che affiorano come fantasmi nella mia mente, fermando per un attimo, giorni in cui il tempo scorre inesorabile, e i ricordi si susseguono ad altri, mentre la mia mente cerca inutilmente un totale isolamento e di silenzio. Un attimo di tregua, sono questi momenti, secondi, minuti, ore, anni che sembrano non avere più spazio temporale, frazioni di tempo che velocemente mi riconducono indietro, sino a far riaffiorare i primi ricordi della mia infanzia vissuta in una strada del quartiere “Murattiano” della città di Bari, quell’anno del 1950 dove ebbi i natali.

 

Qualche volta ancor’oggi abitando a Bari, ripassando da quella via, lo sguardo spazia confuso tra le nuove abitazioni, alla ricerca di quella casa a me cara e che ormai da tanti anni è stata demolita, lasciando custode il suo fantasma a testimonianza di quel luogo nativo, ed ecco che mi rivedo ambino, ancora seduto su quel gradino di quella casa con il volto fra le mani e lo sguardo perso nel nulla.

 

 

Nello specifico, non ricordo con felicità quel periodo, tutto era impreciso e senza un punto di riferimento, la mia mente era protesa, verso un periodo più sereno e mi aspettavo dalla vita in un domani non lontano, un vivere diverso e uno schema di vita alternativa, più completa, spesso usavo una frase ricorrente e che nei momenti di disagio mi ripetevo ” Che cosa farò quando sarò grande?”.

Con il passare dei giorni e degli anni, quell’eco mi ha accompagnato sino all’età  della ragione, forse immaginavo o per meglio dire, continuavo a sperare in un futuro migliore, ricco di serenità e prosperità, avendo inconsciamente immagazzinato momenti di difficoltà economiche insieme ai miei genitori.

 

Voci assordanti di passanti e rumori di clacson d’auto mi riportano alla realtà ed ecco che tutto svanisce, il tempo riprende il suo ritmo di vita, la sua è una corsa inesorabile.

 

 

Tante altre strade e case della mia città mi videro crescere, ma per me restano solo mura. Col passare degli anni un turbinio di ricordi, di cose fatte e di sogni mai realizzati si presenta alla mente velocemente, non solo i ricordi della mia famiglia, ma anche una mescolanza fatta di quotidianità e di gestualità, che gli occhi di un bimbo videro e che mi appresto in modo onesto e veritiero a raccontarvi.

 

Il Circo

Dopo anni, eccomi a parlare o meglio riportare attraverso un viaggio straordinario tra spazio e tempo, racconti ed episodi di storie non molto diverse da tante altre famiglie circensi, un racconto, che s’incontra a metà strada tra sogno e realtà, che mi permetterà di poter parlare della mia famiglia, quella degli “Sciolan circensi” le cui origini ebbero tradizioni molto antiche, cominciando dal trisavolo Giovanni, al bisnonno Pietro e al nonno Luigi tutti di professione ”Saltimbanco”.

 

Il circo negli anni scorsi, permetteva occasioni irrinunciabili di vita, mirava a creare negli spettatori, un’opportunità di svago e spensieratezza, un illusorio e ideale ritorno allo spirito della giovinezza, ma contestualmente diveniva un rito di liberazione collettiva, dalle tensioni dalle frustrazioni e dalle angosce profonde dell’essere, nel rapporto con la quotidianità lavorativa.

 

 

I ricordi personali della mia infanzia, purtroppo sono brevi ed hanno inizio quando, tanti anni fa mio nonno, Luigi, Maria Antonio Chaulan circense in arte “Tim”, che nato a Merate il giorno 29.07. 1872, incontra e s’innamora perdutamente di Clotilde Canardi, una donna “gaggio” (gadjo) Piemontese nativa di Moncalieri, che rinunciò alla sua stabilità di vita per seguire e sposare mio nonno Luigi un uomo “dritto”.

 

 

Dalla loro unione nacquero otto figli: cinque maschi:i cui nomi sono: Fioravanti, Orlando,Ivan, Vittorio e Ubaldo, le tre femmine portavano i nomi di Bice, Felicina, Isolina.

Ha, seguito di continui errori anagrafici di trascrizione, mio nonno Luigi avanzò formale richiesta, affinchè il cognome Chaulan (le cui origini francesi), fosse rettificato in quello di Sciolan, cognome trascritto in gergo fonetico della pronuncia in Italiano.

Negli anni, prima e anche dopo l’ultima guerra, il Circo Sciolan, si esibiva in spettacoli nelle piazze dei paesi e delle città, portando in scena, numeri equestri di alta acrobazia, di volteggi agli anelli, alla sbarra, lanciatori di coltelli, alcuni mangiano fuoco, i contorsionisti e altro ancora, l’intera famiglia coadiuvava per la migliore riuscita della  rappresentazione.

In Italia, occorreranno anni di continua lotta per arrivare, nel 1968, ad avere un riconoscimento ufficiale dallo Stato ed essere rivalutati moralmente.

Verso l’assemblea generale ENC  Circhi e arene negli anni 80.

E’ un documento prezioso, quello che lo “Spettacolo Viaggiante d’Italia” pubblica nel 1957, nel decennale della costituzione dell’ANESV (e che possiamo far conoscere ai lettori di Circo.it,  grazie al Presidente Buccioni e alla disponibilità e collaborazione di Antonello Volpi dell’Anesv, di Roma), primo Presidente e fondatore dell’ente Nazionale Circhi, che  oggi posso trasmettere e relazionare, la situazione del circo italiano del lontano 1957 in Italia.

L’elenco è molto complesso, alcuni gruppi dei grandi circhi, sono suddivisi in tanti più piccoli, circhi equestri, gruppi ginnastici, e arene ginnaste, elenco che, mi hanno personalmente consegnato, e dal quale ho avuto modo di ottenere tutte le informazioni e dallo stesso,  è stato estrapolato il sotto indicato, elenco: “Lo Spettacolo Viaggiante d’Italia”.

In totale sono 180 i complessi, che figurano in attività, di cui elenchiamo i nomi e cognomi di tutti i titolari: trenta circhi equestri, quarantuno circhi ginnici, e notevolmente le più numerose, sono le centonove Arene.

Il periodo degli anni del 50’ può essere considerato un periodo scuro per i circensi Sciolan, poiché mio nonno Luigi, dovette adottare decisioni impegnative, una, la più drastica, quella di disgregare il “Circo Equestre Sciolan”.

Dopo la seconda guerra mondiale, il circo toccò l’apice nel modello itinerante sempre più minacciato dall’anacronismo dei costi, dell’urbanizzazione dall’emergere di nuove forme popolari di divertimento generale dall’avvento di sempre più sale cinematografiche e dalla diffusione della televisione e dell’automobile.

Quest’emancipazione, fece da contrasto a una vita già ricca di difficoltà e compromessi, feriva l’anima e affievoliva il disincanto della natura festosa del circo, note  espressive e indispensabili per chi esercita questo antichissimo  e sempre difficile mestiere.

Solitamente, in quegli anni, per assistere allo spettacolo, non c’era l’obbligo di munirsi del biglietto d’ingresso, trattandosi di spettacolo popolare, era offerto alle masse, in cambio di volontarie e spontanee donazioni, difatti era un semplice obolo, donato volontariamente dal pubblico, che si soffermava dopo lo spettacolo spontaneamente o perché piacevolmente coinvolti, volevano congratularsi o poter stringere loro le mani qual segno della loro amicizia, di solito si assisteva a un “fuggi fuggi,”del  pubblico,  che si allontanava e disperdeva rapidamente, al momento della frase di commiato:

“Se lo spettacolo è stato di vostro gradimento, mettete una mano sul cuore e l’altra al portafoglio” e l’insufficiente ricavato giornaliero non bastava e nè permetteva, di poter vivere al meglio o che fossero ripagati per il loro duro lavoro.

 

 

A Mente serena forse posso dedurre che quel periodo non fu dei migliori, ma si rese fondamentale affinchè la famiglia Sciolan per ragioni di sopravvivenza, dovette decidere lo sgretolamento del proprio nucleo familiar, tale decisione indusse molti di loro ad affrontare la strada in modo autonomo e vivere con distacco creativo la propria dimensione di artisti circensi.

Fu così che i fratelli di mio padre gli zii Fioravanti, Orlando, Ivan e Vittorio, andarono a costituire tanti piccoli circhi all’arena, dove la famiglia, ognuno per quanto di propria competenza, coadiuvava e diveniva parte integrante dello spettacolo.

 

 

Alcune sorelle di mio padre, si sposarono con “gaggi”, con giostrai e circensi, mio padre seguì il volere di mia madre, la quale, pur avendo provato per alcuni mesi questa esperienza circense, non riusciva ad adattarsi e non condivideva, la sua attuale professione, di “nomade circense”, così lo indusse a una scelta seria: O La separazione, oppure una vita con un lavoro più serio e tranquillo, meno impegnativo, fatto da una normale quotidianità.

Egli, quindi per amore della famiglia, rinnegò il proprio ruolo e non tornò più al circo, pur sapendo di dover vivere, il resto della propria vita, in modo molto diversa da quella circense .

Si chiuse il sipario su di un nome della storia circense quella del “Circo Equestre Sciolan” e di Luigi, che fu il suo promotore.

 

 

I Ricordi che mi riportano alla mia infanzia, quando per alcuni giorni mio padre si allontanava da casa, in quei periodi io chiedevano a mia madre, dove fosse andato, con voce rassicurante ci ripeteva assenze erano spesso collegate a incontrare e rivedere la sua famiglia.

Le scarse possibilità economiche con il poco tempo disponibile che gli restava dopo il lavoro, non erano sufficienti per organizzare un nostro viaggio collettivo, per tale ragione egli viaggiava sempre solo utilizzando come mezzi di trasporto treni e corriere.

In quei brevi giorni di assenza non avevamo notizie, solo dopo il suo ritorno, era solito narrare a mia madre quanto aveva potuto cogliere da quel breve soggiorno.

Nel periodo tra il 1950 e il 1960, ricordo che pervenivano per mezzo della posta, presso le nostre diverse abitazioni, cartoline provenienti da molti luoghi d’Italia.

Dalle quali, si sapeva in quale luogo il circo e i nostri parenti sostavano in quel momento, in alcune lettere spedite dai genitori o dai fratelli di mio padre, spesso erano inserite foto in bianco e nero, che ritraevano volti o atteggiamenti dei nostri familiari circensi.

Quelle fotografie, spesso, illuminavano con espressioni gioiose il viso di mio padre, volti che per me e mia madre, erano dei veri sconosciuti.

Ricordo che mia madre, spinta dalla curiosità, non riconoscendoli chiedeva chi fossero e mio padre con grande impeto e orgoglio, ne attribuiva la sua familiarità.

 

 

La memoria storica sull’origine della mia famiglia circense, è stata spesso priva di una fonte sicura e ufficiale, è stato sempre una favola, un racconto antico fatto di “tagli, ritagli e frattaglie”, attinte per di più da mio padre, le tante dicerie mi hanno spinto nel corso degli anni a voler conoscere, sempre più un maggior numero di dati e notizie che potessero farmi risalire al nostro quasi dimenticato, profilo circense.

In occasione di sporadici incontri, con gli zii e altri parenti, la mia curiosità mi ha spinto a chiedere e nello stesso tempo annotarmi qualcosa in più di cui non aveva conoscenza, ad esempio sul mio trisavolo Giovanni, sul bisnonno Pietro e su nonno Luigi, Chi erano? Dove vivevano? Che lavoro svolgevano? Com’erano arrivati in Puglia, da dove venivano? E tante altre domande alle quali nessuno era capace di darmi una reale risposta, sulle origini della famiglia circense degli Sciolan.

Ancora oggi, ho qualche perplessità e credo qualche tassello mancante, debba ancora trovare la giusta posizione.

Solo deduzioni o brevi soggiorni al circo mi hanno permesso di poter capire meglio il loro modo di vivere, di poter costatare e scoprire il valore della famiglia, della libertà, riportandola a un’unità sempre presente, perché il circo è tutto un insieme: si vive insieme, si lavora insieme, si mangia insieme, si viaggia e si esce insieme, in loro predomina la volontà a voler andare sempre avanti, la perseveranza di non arrendersi mai davanti alle difficoltà della vita, la capacità di fare cose, che sembrano impossibili alla gente comune, di questo e di tanti altri valori fondamentali è costituito questo mondo, il loro, un modo di pensare, che genera molta forza e unione, che tutti unitamente condividono.

 

Forse perché mi sento figlio d’arte amo profondamente il circo, per quello che rappresenta, pur rispettando le decisioni che entrambi i miei genitori vollero prendere per la propria quotidianità di vita, questa mia attrazione verso il circo non è mai venuta meno.

In realtà tale entusiasmo si materializza quando in estate la mia famiglia viaggiava occasione di brevi periodi in cui erano soliti fare visita ai fratelli di mio padre, i quali ospitandoci nei loro Caravan o Roulotte ci permettevano di poter vivere a stretto contatto con la vita attiva del circense.

Condividendo i momenti della preparazione allo spettacolo con i miei cugini artisti nelle loro roulotte, iniziai a pormi domande e a darmi anche alcune risposte ai tanti interrogativi che mi ero posto sulla vita nomade che conducono.

 

Accadeva in quei giorni in me una metamorfosi, così il sogno del bambino, diventava realtà di lì il passo era breve, i sogni divenivano protagonisti, era come se il tempo si fosse fermato e noi ospiti, non ne fossimo mai stati totalmente estrapolati.

In una di queste occasioni, sovente, più per il mio piacere e grazie alla complicità di zii e cugini riuscii più volte a calcare l‘arena, nelle vesti di clown, fu un vero successo e battesimo circense in una grande piazza della città di Arezzo.

Impegno passione e un forte senso di comunità, fanno da contrasto a una vita ricca di difficoltà e compromessi indispensabili per un antichissimo e sempre più difficile mestiere.

Devo ringraziare mio cugino Taer, “clown nel ruolo dell’Augusto, il quale viste le mie insistenti richieste, mi permise di poter scendere in pista e con lui presentare alcune farse e pantomime, durante la serata e anche nei giorni che seguirono la nostra permanenza e fu così che “Bistecca”, il sottoscritto, (nome d’arte da lui assegnatomi), potei  esibirmi,  facendo  da spalla ad “Animalunga”, Questa è stata una speciale e straordinaria  concessione, per me un vero   onore vestire quei panni.

Questo è un ricordo indelebile, che porterò sempre nel mio cuore.

 

Oggi il Circo, lo vediamo spesso alla televisione e trova nella tradizione le sue radici, uno spettacolo che si presta, è telegenico e si arricchiscono di mezzi sempre più espressivi Quali musica, danza, le arti visive capaci di poter parlare e proporsi in ogni tempo alle diverse generazioni, grazie alla comprensione di linguaggi artistici e alla contaminazione con nuove forme espressive. Per chi legge questo mio scritto, è un invito a frequentare il “Tendone”, tra qualche spiffero d’aria, suoni di ottoni e tamburi, odori particolari, vivere per una sera uno spettacolo precariamente in bilico, tra la gioia e lo stupore.

Signori applaudite incondizionatamente.

 

Saluti

Usando un aforisma: “Al cuore non si comanda” e se sia vero che questi è tanto forte da poter far rivivere tali emozioni queste rimarranno eterne, attimi di vita anche se vissute brevemente, ma così intense, da restare incancellabili, accanto ad altre che susseguiranno e che si depositeranno nello scrigno della memoria, dolci, infinite e immense.

Grazie a tutti voi

Lo spettacolo, sta per cominciare,  questi sono i momenti delle emozioni,poi quando il sipario si alzerà le, i ritmi e gli applausi produrranno su di noi l’effetto magico della pista, acrobati artisti clown ci appariranno come sempre sicuri e sorridenti, eroi della nostra fantasia è questa la vita vera del circo,dura , affascinante, un’avventura sempre uguale e sempre nuova, sempre pronti a poter portare in paesi diversi anche nei più sperduti, due ore di gioia e serenità, capaci di far sorridere il cuore.

 

 

Lavorare in un circo significa sicuramente rinunciare a una vita”normale” ma significa anche vivere un’esperienza di sacrifici, tolleranza e solidarietà.

Questa mia raccolta di opere vuol essere una trasposizione immaginaria su reminescenze del mio breve vissuto nel mondo circense.

Un omaggio a tutti gli artisti, ai funamboli, ai saltimbanchi ai musicisti viaggianti e a coloro, che giornalmente si adoperano per regalare allo spettatore due ore di gioia spensierata serenità intrisa di poesia e grande comicità.

 

Lontani dalle luci metropolitane, gli artisti sono già al lavoro, il pubblico ha occupato posto sulle gradinate sotto lo “chapiteaut”, gli orchestrali sono pronti ad annunciare l’inizio dello spettacolo. Gli acrobati nel retroscena riscaldano i muscoli prima di entrare in scena, la pista illuminata tutto è pronto per il “Gran Galà”:

Si apra il sipario, entrano gli artisti!

 

 

Anna Sciacovelli

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