La radioterapia, spesso percepita come una fase difficile del trattamento oncologico, viene invece raccontata dai pazienti stessi come un momento di cura efficace, precisa e umanamente sostenibile.
È questo il quadro che emerge dall’indagine AstraRicerche-AIRO[1] su pazienti sottoposti a radioterapia tra il 2012 e il 2022, presentata oggi a Rimini in occasione del 35° Congresso Nazionale AIRO (Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica).
Il 77% dei pazienti si è sentito ben supportato dall’équipe e il 66% ha giudicato chiare e complete le informazioni ricevute. La fiducia nella tecnologia utilizzata per la radioterapia è alta (92%), così come la valutazione della gestione dei disturbi, ritenuta efficace o adeguata dal 93%. A sei mesi dal trattamento, il 71% non riferisce effetti, ma resta forte la componente emotiva.
Quasi uno su due (48%) indica come principale difficoltà la preoccupazione per la malattia, seguita da sintomi infiammatori o bruciore (21%) e dalla necessità di visite frequenti (20%).
“La ricerca ci mostra una radioterapia che i pazienti percepiscono come una cura affidabile e umanamente attenta – interviene Marco Krengli, Presidente AIRO a margine del Congresso – ma ci ricorda anche che la qualità dell’esperienza non si misura solo in termini di efficacia clinica. Oggi la vera sfida è accompagnare il paziente oltre la fase tecnica del trattamento, costruendo percorsi di sostegno psicologico, informativo e relazionale più strutturati.”
IL RAPPORTO CON L’EQUIPE MEDICA FATTO DI EMPATIA, CHIAREZZA E FIDUCIA
Tra gli aspetti positivi più citati spiccano l’empatia del personale (66%) e il ruolo dei medici nello spiegare e accogliere (64%).
Il rapporto con l’équipe è descritto primariamente come di grande supporto umano (43%) o professionale e cordiale (51%). Solo il 6% lo percepisce distaccato mentre nessuno lo giudica freddo. Sulle informazioni ricevute prima di iniziare la radioterapia, il 66% le indica come chiare e complete.
“Quando il paziente trova un’équipe presente e una comunicazione comprensibile – prosegue Stefano Pegolizzi, Presidente Eletto AIRO – la fiducia nella tecnologia diventa un alleato concreto e l’esperienza clinica risulta più sostenibile”.
COME I PAZIENTI VIVONO LA RIPRESA
Pensando al proprio stato sei mesi dopo la fine della terapia, il 71% non riferisce effetti. Tra il 29% che li segnala, l’impatto è quasi nullo per il 7%, lieve per il 53% ma moderato per il 30% e severo solo per il 10%. Le visite di controllo sono ritenute utili dal 93% (di cui 68% molto utili).
Sul ritorno alla vita quotidiana, il 39% lo ha fatto rapidamente, per il 47% ha richiesto un medio/lungo periodo, mentre il 13% ha dovuto modificare alcune abitudini.
I GIOVANI E IL BISOGNO DI UN SUPPORTO DEDICATO
Tra i più giovani, in particolare nella fascia 18–40 anni, emerge una maggiore sensibilità nel percepire gli effetti del trattamento con il 34% segnala qualche disturbo nel periodo successivo al trattamento. Si tratta di una fascia d’età che, anche per la necessità di conciliare la cura con studio, lavoro e relazioni, mostra un’attenzione più alta verso i cambiamenti fisici ed emotivi post-terapia.
“I giovani pazienti ci ricordano quanto la radioterapia debba essere non solo precisa ma anche capace di ascoltare – sottolinea Antonella Ciabattoni, Segretario AIRO – perché in questa fase della vita la percezione degli effetti, anche lievi, si intreccia con la costruzione della propria identità, e richiede un supporto psicologico e clinico più mirato. Un dato che rafforza l’importanza di un monitoraggio personalizzato e di un accompagnamento continuo, anche nelle fasi successive al trattamento, per favorire il ritorno a una piena quotidianità”.
COME I PAZIENTI ESPRIMONO UN’ESPERIENZA COMPLESSIVAMENTE POSITIVA
Il 43% riassume l’esperienza con “mi sono sentito curato bene e supportato come persona”; 33% la descrive come necessaria e ben gestita sul piano tecnico; 18% la definisce non traumatica rispetto ad altri trattamenti; 5% la percepisce negativa/traumatica.
I “consigli degli esperti” (i pazienti): affidarsi e avere fiducia (48%), pazienza e accettare la stanchezza (37%), fare domande (12%); del tutto marginale il “non fare domande” (2%).
FATTORE CRITICO DELL’EMOTIVITÀ
Il primo fattore critico non è tecnico ma emotivo. È forte la preoccupazione legata alla malattia (primo per il 48%; primo/secondo per il 72%).
Seguono sintomi infiammatori/bruciore (51%) e la necessità di molte visite in ospedale (47%). Nonostante ciò, la gestione dei disturbi è valutata efficace e tempestiva (44%) o comunque adeguata (49%).
“Il dato sulla preoccupazione ci parla di un bisogno che va oltre la parte clinica – conclude Michele Fiore, Consigliere AIRO – perché anche quando la terapia funziona, il paziente vive un carico emotivo che non può essere trascurato. È lì che si gioca la vera qualità della cura: nel sapere offrire informazioni chiare, rassicurazione e continuità di ascolto. Per questo stiamo lavorando a percorsi di supporto psicologico e di informazione più integrati nella pratica quotidiana, così da prevenire l’ansia, contenere l’impatto dei sintomi e accompagnare il paziente durante tutto il trattamento e nel follow-up”.










