Dopo una sosta di due giorni a Venezia, l’idea di visitare l’entroterra e il circondario della città lagunare ebbe esito positivo.
Prima tappa Padova, una visita alla Basilica del Santo per devozione, che facevo ogni tre anni circa, quella volta volli fermarmi più del solito volevo conoscere meglio il suolo veneto e il suo patrimonio artistico, sul mezzo, che dalla Stazione mi portava al famoso Santuario un piccolo manifesto colorato a grandi lettere indicava una grande villa, poco distante dalla città denominata” Villa dei Vescovi”. Un’antica villa veneta, ubicata presso la località di Luvigliano, una frazione di Torreglia, considerata unica per il gusto e per la classicità romana, posta nell’entroterra della Serenissima, che custodisce il più vero e autentico esempio di affresco e decorazione, prima della rigenerazione imposta da Paolo Veronese, di stile prettamente rinascimentale, realizzata da Bartolomeo Bono, per mia curiosità e conoscenza ho voluto sapere di più. Si dice: “Che la prima costruzione fu eretta ai piedi del monte Solone, sul finire del Quattrocento, per esplicito volere del Vescovo Jacopo Zeno, su un progetto dell’Architetto Bono, come luogo di riposo e soggiorno estivo per i vescovi locali.
Il nucleo originario venne in seguito ampliato nel 1501, per la volontà del Vescovo Pietro Barozzi, poi modificato tra i 1529 e 1543, per ferrea volontà del prelato il Cardinale Francesco Pisani. Durante i lavori di riorganizzazione dell’intero fondo agricolo, i lavori furono affidati dal Cardinale, all’amministratore della mensa vescovile Alvise Cornaro, il quale si servì dell’ausilio dell’architetto veronese Giovanni Maria Falconetto. Nel 1535 alla morte di quest’ ultimo, i lavori furono condotti da Andrea da Valle, suo allievo, si possono pensare quindi, che la Villa sia stata ideata dal primo ma realizzata materialmente dal secondo architetto. Si suppone l’ipotesi di un intervento di Giulio Romano cui Pisani scrive per ben due volte nell’estate del 1542, è opinione di Beltramini, che a lui si deve l’ideazione del bugnato che caratterizza il piano terreno della villa. Mentre la realizzazione degli stucchi, sempre su disegno di Andrea da Valle, fu intrapresa nel 1542, gli affreschi furono affidati sul finire del 1543, al pittore fiammingo Lambert Sustris.
Il quale si occupò dell’idea complessiva dell’impianto decorativo e della relativa esecuzione, della maggior parte delle pitture, Lamberto nato ad Amsterdam tra il 1510 e il 1515, già valente e attivo fin da ragazzo di bottega giunse a Roma nel 1541, il giovane aveva già attivamente frequentato la bottega di Tiziano difatti, le stanze del piano nobile erano un tempo interamente affrescate con paesaggi, scene e figure mitologiche. Mentre nessuna delle opere, pare siano state disegnate o dipinte da altri maestri e questa osservazione, può essere riferita al pittore Gualtiero Dall’Arzere, detto il Padovano. In quest’oasi di pace, Francesco Pisani riunì un cenacolo intellettuale, frequentato da importanti letterati e umanisti del tempo. Solo tra il 1562-65 furono realizzati la recinzione e i portali d’ingresso.
Nella seconda metà del Settecento fu modificata la distribuzione degli spazi interni del piano nobile: fu chiusa la corte interna e create quattro stanze laterali e un salone centrale, secondo la planimetria delle ville venete.
La villa, rimase di proprietà dei Vescovi patavini sino al 1962, quando Vittorio e Giuliana Olcese la comprarono e restaurarono ripristinando le strutture edilizie originarie, liberando dagli intonaci gli affreschi scoperti da Alessandro Ballarin e restaurati da Clauco Benito Tiozzo.
Nel 2005, per espressa volontà di Vittorio Olcese, la famiglia ha donato l’intero complesso al FAI che ha promosso il restauro degli affreschi, che dal ripristino degli Olcese degli anni sessanta, assai manomessi tra il Cinquecento e il Novecento, prima coprendo le figure dei nudi e successivamente (a metà del XVIII secolo) con una decorazione a finti stucchi, necessitavano di un nuovo e approfondito restauro. La Villa poggia su un terrazzamento in sommità del colle, con scalinate sostenute da arcate inserite nel declivio. Fanno parte del complesso alcuni edifici rustici, come la stalla e l’ abitazione del gastaldo e quattro portali monumentali. Le pareti sono decorate da lesene corinzie di finto marmo, che inquadrano in modo alternativo, edicole e nicchie. Alcune porzioni di affresco sono andate distrutte e perdute per sempre, a seguito dell’apertura di una porta che originariamente immetteva nell’attigua stanza del Putto. Il nome della stanza, deriva dal putto, un bambino, seduto sul finto zoccolo, intento a mangiare uva con al fianco, un’urna metallica.
Molte altre Divinità sono rappresentate sulle pareti tra le tante, il poeta Orfeo con la sua lira, Apollo che scortica Marsia, il satiro che osò sfidare il dio, in un agone musicale, dati i soggetti, che si ravvisano nei tondi figurati, si ipotizza, che questo luogo fosse destinato come salone della lettura o della musica.
Anna Sciacovelli