Natale era alle porte, il lungo mese di novembre, piovigginoso e senza sole, avevano donato quasi tutti i giorni, noia e solitudine a quasi tutti i bambini di casa.
La speranza del tempo ventilato e secco di dicembre faceva scorrere velocemente gli ultimi giorni dell’uggioso novembre. Un giorno, una lunga scampanellata bucò il silenzio della casa, la donna di servizio aprì la porta, un contadino con un grande cesto era fermo sulla soglia con un senso d’indecisione se entrare o no.
Chiese se avevamo bisogno di un cane pastore, in realtà era piccolo di appena dieci giorni, lui personalmente, ne possedevano a casa ancora due e non sapeva a chi donarli, nel sentire le voci mia nonna si affacciò alla porta, dissuadendo il contadino dalla sua idea di lasciare a noi il suo piccolo cane di pochi giorni.
Le ore passarono velocemente, il ritorno a casa del nonno portò la gioia e l’armonia in casa.
Aveva trovato nel portone di casa un cesto con dentro un piccolo cucciolo di cane, così l’ingresso nella nostra società del piccolo lupo.
Al rientro di mio zio Vito, il cane iniziò a guaire e a sgambettare per casa, io per paura mi chiusi nella stanza da letto, senza avere il coraggio di venirne fuori.
L’ora di pranzo e il mio appetito svegliato dalla curiosità per il cane, mi portarono a sbirciare nel lungo corridoio, non vedendo alcun intralcio mi avvicinai alla camera da pranzo, tutto era pronto per il pasto conviviale della domenica.
Il cane, forse per fame, prese la rincorsa sistemandosi in sala da pranzo, in attesa di avere la sua razione, mio zio si prese la briga di sistemarlo in un angolo del corridoio, con le sue ciotole del cibo e dell’acqua. Tutta la famiglia seduta a tavola, parlava del più e del meno, nessuno toccò l’argomento del cane.
La sera si avvicinava velocemente, era da sistemare il nuovo arrivato, mio zio pensava fosse un cane lupo senza conoscerne la razza e lo battezzò Birba il quale dopo aver mangiato entrò nel suo cesto e si appisolò senza dare fastidio, quando mi addormentai sul tavolo da pranzo, mia nonna mi accompagnò nel suo grande lettone alto e comodo, dove crollai come pera cotta.
Il giorno dopo, trovai mille scuse pur di non andare a scuola, volevo stare con il cucciolo e giocare con lui mio zio era andato da un suo amico cacciatore e parlando di quel nuovo inquilino volle sapere la razza e come trattarlo cosa dare da mangiare e come gestirlo. L’amico gli propose di andare da un veterinario e chiedere consiglio.
Il pomeriggio dello stesso giorno, si recò dal veterinario, il quale prima di emettere la sentenza, volle vedere il cucciolo dopo averlo visitato il Veterinario, disse: che “Il cane era di una razza antica e pregiata, era un pastore Lagorai, adatto a seguire il gregge, che di solito quei cani erano allevati in masserie che soggiornavano presso il Friuli, Venezia Giulia o l’Alto Adige, non riusciva a capire come fosse arrivato nella città di Bari, così fece capire a mio zio che era meglio lasciarlo libero e non si preoccupasse, sarebbe tornato alle sue Langhe.
Quella sera, prima di addormentarmi ho bagnato il cuscino di lacrime per quella Birba di un cane. Era molto bello, il suo lungo pelo fulvo con piccole e grandi macchie grigie o bianche, strano ma bello a vedersi, era di carattere buono, instancabile, ed era per noi un dono inaspettato”.
Rimase con noi circa tre mesi, un giorno imboccò la porta di casa e non tornò più con mio gran dispiacere, in quel breve lasso di tempo, era diventato il mio più caro amico.
Anna Sciacovelli