In questa opera, datata 1999, edito da “La Vallisa” e prefato da Giuseppe De Matteis, postfato dal Prof. Daniele Giancane, il poeta Marcello Ariano, si abbandona tra le braccia della poesia sino a scomparire in essa. “Tempo di sabbia fine” l’autore tenta quasi di volersi nascondere e mescolarsi con la stessa sabbia e in essa cercare il proprio rifugio, tra gli anfratti di rocce e dirupi, dove meglio nascondere il suo cuore di poeta.
Il saggio poeta Marcello Ariano, con le parole gioca a nascondino, tra presente e passato, in questo motivo altalenante, ripercorre cautamente un percorso già vissuto e memore dell’attuale realtà della vita, cerca di divincolarsi dai lacci, che lo avvingono e lo trattengono rubandogli la libertà mentale.
Tutto questo quasi lo spaventa.
Allo sforzo intellettivo del taglia, ritaglia, accosta, riduce, recupera, ricuce, vi è di contro una infinita potenzialità e un’attenzione totale nel lavoro, che svolge estraniandosi totalmente dal reale.
Il suo, è uno smarrimento totale dal presente e sotto l’assorbimento mentale della riflessione, si sprigionano i lampi del sapere e dell’essere poeta, che lo spingono a comunicare al mondo, la propria universalità.
In un vuoto, denso della rarefazione della parola e nei dilatati e notturni mutismi, l’inconscio addestrato e la spontaneità coordinata, supera di gran lunga il vuoto silenzio, fornendo parole e frasi attinenti alla tamatica della poetica.
Non per questo, il filo conduttore delle sue poesie si ferma, ma da buon rabdomante capta la giusta strada, e tra gli anfratti delle antiche rocce, trova la fonte dell’acqua pura di sorgente dove dissetarsi e trovare l’ambìto ristoro.
Il suo dire, ha il pregio d’ indicare il giusto cammino, verso la strada della condivisione, di un amabile rapporto vissuto con gli altri, che lo rende un prezioso traghettatore di “Antiche Storie” narrate agli altri.
La voglia di recuperare la civiltà della terra, con i suoi umori e sapori, entro cui ritrovarsi con i vecchi amici di un tempo, un messaggio questo, anzi quasi una rivendicazione, di quello che era l’antico mattino, di quei giorni sfioriti.
Un messaggio agli altri, che non conoscono appieno, il vivere delle strade e nelle piazze e che si soffermano solo a guardare e ammirare le statiche e granitiche costruzioni del passato.
Anna Sciacovelli