Il treno notturno da Bari mi porta nella splendida città di Venezia ore 7,30 stazione di Venezia poi Calalzo, tappa ultima, la cittadina di Sappada.
Una settimana di vacanza sulla candida neve, un giorno rubato, in quel di Venezia, poi ritorno a casa.
Avevo programmato il rientro a Bari viaggiando di notte, come per l’andata, in qualche modo dovevo occupare il giorno, il traghetto per Piazza San Marco, era pronto all’imbarcadero, un caffè al Cipriani, uno sguardo alla torre campanaria, la piazza gremita di gente, che si recava al lavoro, un gruppo di turisti con il naso per aria, guardava affascinato la cupola di San Marco.
Alla fermata del vaporetto un uomo dai capelli lunghi sul collo, con una macchina fotografica a tracolla scrutava con lo sguardo una scultura osservando i lineamenti con i suoi occhi scrutava il manufatto come un conoscitore della materia scolpita e nel contempo, trafficava con la sua macchina fotografica.
Il vaporetto colmo di gente adulta, che si recava al lavoro e di giovani studenti, che si avviavano verso l’istituto d’arte, il mormorio assordava un po’ tutti i passeggeri.
Sull’acqua appena mossa e ancora sonnolenta tre gondole scivolavano velocemente, sul Canal Grande un altro vaporetto incrocia il mio, una involontaria spinta di un ragazzo mi fa perdere l’equilibrio precario, sorretta da un signore dietro le mie spalle che ringraziai velocemente e mi allontanai con discrezione.
Un volto a me noto, incorniciato da bianchi capelli, che toccavano le sue larghe spalle ricordai quel volto, avevo di fronte il maggiore esponente del mondo delle immagini il maestro Mario Giacomelli, i giornali avevano parlato di una mostra fotografica, di scatti superbi, che le
sue foto superavano di gran lunga la staticità e parlavano al cuore come lingua viva.
Dimenticai quello che mi ero ripromessa di fare e continuai a seguire l’artista, che riusciva a far parlare le pietre, i suoi scatti improvvisi mi resero fragile fuscello, tra la ragnatela dei suoi capelli e delle rughe del suo volto.
Occhi attenti i suoi, a rubare l’attimo fuggente che immortalava con la sua vecchia macchina fotografica, dimentica di tutto continuai a seguirlo per ore, in continua ricerca di un angolo da fermare in un negativo.
Quasi un filo invisibile mi tratteneva dal lacerare quel momento magico, che a mia insaputa il caso mi aveva donato, la giornata era alla fine anche il tramonto era un momento magico, all’orizzonte il sole entrava nella più grande vasca del mondo sognavo.
Lo sciabordio e l’urto del battello, mi svegliarono dal sogno, ero arrivata alla Stazione, dovevo tornare a casa ma le mie gambe non volevano saperne di riprendere la strada del ritorno, avevo vissuto una giornata da sogno, momenti di vera intimità individuale nella ricerca di un angolo stupendo da fermare con l’obiettivo e non volevo accettarne la fine.
In treno, ripercorsi mentalmente, il tragitto già compiuto, tra le calli e i vicoli umidi, stretti e silenziosi di Venezia.
La gioia più grande, aver conosciuto e seguito un maestro della fotografia, Mario Giacomelli.
Anna Sciacovelli