In una disperata e dicotomica forma di consumazione dell’io-poeta, nascono queste liriche dedicate all’esistenza della sua donna- amante –madre.
Gli avvenimenti si moltiplicano e si susseguono all’infinito dando profonde vibrazioni, che percorrono lo spazio-tempo assumendo un linguaggio bidimensionale e simbolico, tra il poeta e la propria donna, dolce compagna di giochi giovanili, dando luogo ad una sorta di gelosia che emerge dalla lirica “tu sei accanto a noi” …”ho colto, sul tuo volto emaciato/ un debole sorriso rivolto a tuo figlio,/ a nostro figlio./ Un sorriso pieno d’amore!/ e non ti nascondo, anima dell’anima mia,/che per un millesimo di secondo /mi sono sentito geloso/ di quel sorriso non rivolto a me!”…
La gelosia e il dolore provato dal poeta, hanno il loro spessore umano e sofferto, che quasi ci appartiene.
E’ come avere, dentro di noi, un male oscuro. Un dolore che sfibra, nella consapevolezza dei giorni, che si fanno sempre più bui per il grigiore di colpe altrui, fascino di cose sospese tra l’essere e il nulla del cui possesso ci si accorge solo quando il bene e le parole si sono perdute.
Il ricordo della sua donna, nel poeta è netto, situandosi in una dimensione senza più restrizioni di sorta, in un rapporto che non conosce più bugie, può confessare di amarla ancora, di averla sempre amata.
E’ un grido d’amore la lirica “Croce d’Amore” :Ho inchiodato l’anima, stasera/ sulla mia Croce…/ mentre intorno a me questo silenzio/ si addensa sempre più/passano tra le dita tremanti / i grani del rosario / che recito ogni giorno/ ai pie’ del Creatore!/ al quale chiedo / che mi chiami lassù, presso colei/ che ho sempre amata più della mia vita! ”.
Potrei sbagliare, ma è mia profonda convinzione, che oggi il poeta si strugga in una dolcissima tristezza d’amore, pur se la sua esistenza è ancora qui sull’isola dove infuria la tempesta della vita e l’uragano squassa ogni fondamenta.
Per un attimo il poeta ha voglia di mollare gli ormeggi e lasciarsi trasportare dai marosi ma si è abbarbicato alla terra e dalla terra trae vita, la tempesta lo lascia livido e piagato sul corpo, lacerato nell’anima, ma vivo.
Anche se gli anni, non lasciano al poeta alcuna possibilità di correre come allora sull’arenile, dove i gabbiani hanno saputo e visto del passato gli amori, l’invidia, l’ipocrisia degli uomini, la pena di una scelta, lo scorrere delle stagioni della sua vita e la senilità cosciente, dalle sue mani rattrappite e stanche nascono, in un susseguirsi di segni dell’anima le liriche di questa raccolta poetica.
Liriche queste, incise nella pietra, un viaggio a ritroso nel tunnel dei ricordi, che s’intrecciano e si sovrappongono si slargano e si disperdono nella nebbia del tempo.
Ora, l’orma del giorno, trascorre con monotonia in un brulicare di volti, cercando di reinventarsi la vita, il suo involucro è ancora storia e malgrado l’infuriare del tempo, il poeta spera di trovare la pace interiore, per dare un rassetto al caos interiore .
Il poeta, Gino Spinelli de Sant’Elena, spera di potersi adagiare finalmente sul crinale di un monte dove ha sede la conchiglia- alcova originale, mentre il dolore rimane ancora una volta, a trapanargli l’anima.
Anna Sciacovelli