Tollerate, solo se non se ne parlava delle mogli traditrici. In base alle norme della consuetudine, codificate nel XIII secolo,dai giureconsulti Andrea e Sparano da Bari, le donne godettero nella nostra città, una considerazione assai meno debole di quello, che la proverbiale loro fragilità, lasciasse intendere.
Negli oltraggi di parole fra donne,ad esempio, una deferente considerazione faceva giudicare con indulgenza la loquacità muliebre perché, quando qualche donna linguacciuta superava, in certe occasioni, i limiti richiesti dalla buona creanza,indirizzando epiteti irripetibili all’indirizzo delle altre, tali norme mitigavano il rigore del diritto, mandando esenti da sanzioni quelle che,litigando tra loro si scambiassero parole ingiuriose.
La condiscendenza verso le marachelle femminili assumeva poi proporzioni inaspettate: pare infatti, che non mancassero signore in vena di tradire i propri mariti e che costoro, per mantenere il riserbo o per ragioni che è meglio non scoprire,talvolta fingessero di non saperne nulla o di non accorgersene.
In queste circostanze le regole consuetudinarie, come per evitare ogni pubblicità sul conto delle mogli un poco allegre, lasciavano impunito chi incautamente o nell’ira rivolgesse al consorte compiacente, l’appellativo di “cornuto contento”.
Il termine, non era in verità proprio questo, perché tanti secoli fa, lo stesso non era ancora entrato nell’uso corrente, ma si adoperava il vocabolo Argà di origine longobarda, che serviva egregiamente a indicare colui “Cuius uxor moechatur et ille tacet”.
In parole povere: “Colui al quale la moglie commette l’adulterio, anche quello, deve tacere”.
Le consuetudini baresi precisavano infatti, che non era passabile di punizioni, chi ne gratificasse uno di quei sfortunati mariti con l’appellativo di “cornuto contento”: l’aspetto più singolare di tutta la questione, era il fatto, che se l’offensore ammetteva in seguito, con tanto di giuramento, che l’offeso non era quale egli lo aveva definito in un accesso di rabbia, il giudice allora, gli infliggeva l’ammenda di cinque soldi, per aver detto quella bugia.
In poche parole, se l’offeso era veramente “cornuto contento”, l’offensore non veniva punito, ma se non lo era per davvero, l’offensore veniva punito con una pena pecuniaria, a causa della sua bugia.
Non si riesce a comprendere, quale logica guidasse il corso di questo strano modo di amministrare la giustizia, ma è evidente che il povero disgraziato , cui fosse capitata la disavventura in questione , era costretto a tollerare, con il danno a ricevere anche la beffa, senza poter agire, contro chi si prendeva la briga di ricordarglielo, spesso e volentieri.
Anna Sciacovelli