E quando dimenticammo la fragilità dei vecchi vasi,
li ritrovammo rotti, smarriti…
Tra le corsie di un ospedale, un’anima sensibile, vaga con la mente ma lavora con le mani, della sua inquietitudine e dolore ci fa partecipi con la descrizione di un corpo dell’uomo che si distrugge piano, che si consuma, sino a ridursi solo pelle e ossa.
Luigi Orofino, infermiere poeta, tempo addietro si sarebbe chiamato “ospedaliere”, svolge con estrema serietà e serenità d’animo, il proprio lavoro, donando spesso, un grande conforto agli ammalati, degenti in lunghe e ampie corsie sterili e asettiche, anche negli affetti. Quando la malattia colpisce l’essere umano, compromette in toto, il corpo biologico dell’uomo, quindi altera il suo sistema funzionale, che porta alle manifestazioni cliniche, ma colpisce anche la mente, perché lo stesso sistema immunitario è attaccato da agenti esterni.
Anticamente, presso alcuni i popoli del Neolitico, si riteneva che la malattia, fosse comunemente prodotta da qualche corpo estraneo, un frammento di legno, di osso, da una scheggia di pietra, o altro che per magia, penetrava nel corpo del soggetto, il sofferente, non sapendo dare una giusta classificazione alla malattia stessa, anche perché le stesse, non potevano, essere distinte le une dalle altre.
Nella concezione omerica, la peste penetrava nei malati attraverso le frecce del dio Apollo, la quale era spesso adirato con gli uomini, altre volte la colpa si riversava sui demoni, che entravano nel paziente.
Luigi Orofino, ha scelto consapevolmente la personale attività d’infermiere, che conosce attraverso gli altri, la consapevolezza del dolore, che attanaglia l’infermo, nel momento che assiste il malato nel suo intimo, soffre con lui e per lui, perché impossibilitato ad alleviare fisicamente il dolore, quindi, dona la propria opera e il proprio sorriso, per distrarre l’ammalato, per qualche attimo, dal personale soffrire.
Nella poesia “L’ulivo” descrive l’aridità della nostra terra, ma nello stesso tempo la tenacia delle radici dell’albero che anche tra la roccia o il calcare riesce a fermare le sue profonde radici, lì dove è presente prosciugandolo, anche un piccolissimo rigagnolo d’acqua, è tanto che le sue radici, le quali arrivano ad assorbire le ultime gocce d’acqua della rugiada, che si ferma sui tronchi, dove stille di acqua creano piccole ed invisibili perle. Sono “Perle” vere, le parole che il nostro infermiere poeta, Luigi Orofino, ci descrive nelle sue poesie, è il vivere quotidiano, voci di aiuto dai letti dei degenti, preghiere di salvezza per guarigione, che fuoriescono dalle delle corsie, per arrivare presso un “ Santo”, invocazioni di perdono, che flebilmente si smorzano piano nel sonno
La sua poetica, scevra da parole altisonanti o colme d’ipocrisia, ci parla a voce alta della sofferenza dei corpi e delle anime, delle persone, che si avvicendano nelle sale operatorie o nelle corsie, dove la tenebra “Signora” passeggia silenziosa e paziente notte e giorno.
Anna Sciacovelli