Il 23 aprile 1849 sospettato di appartenere a una società segreta, tesa alla sovversione sociale della Russia Zarista, Fedor Dostoevskij era arrestato e mandato prima, presso il castello di Tobol’sk, un ex carcere di massima sicurezza in Siberia in cui trascorse soltanto i primi dieci giorni prima di essere trasferito al campo di prigionia nella città di Omsk, noto per le condizioni di prigionia particolarmente dure.
Nel castello di Tobol’sk sono stati in prigione anche lo scrittore Vladimir Korolenko e Nikolaj Cernysevskij
Dichiarato traditore della Patria, fu trasferito in un campo di prigione per quattro anni ai lavori forzati in Siberia, il suo viaggio ebbe inizio per la fortezza di Omsk, nel cuore della tundra siberiana, il giorno di Natale del 1849, la sua detenzione ebbe termine l’11 gennaio successivo.
La sua deportazione fu spaventosa, la temperatura scese intorno ai meno quaranta gradi sotto zero e al colmo della disperazione di chi è atteso dal nulla, chiamerà la sua prigione “la casa dei morti”.
All’arrivo a Omsk fu spogliato e privato di ogni cosa, gettato come sacco vuoto su un tavolaccio e nudo passo la sua prima notte da carcerato.
In uno stanzone lungo e angusto, reso ancor più soffocante dalle candele di sego continuamente accese, che emanavano pochissima luce ma tanto fetore.
Sacrificare l’ossigeno, per avere ancora coscienza di se stesso, e per non lasciarsi prendere e sopraffare dall’inedia e dal disinteresse totale.
All’interno del grande camerone gente che giocava continuamente a carte, che piangeva, che imprecava, per non perdersi completamente, lui scriveva o pregava.
Fedor Dostoevskij, passò un periodo spaventoso per la sofferenza indicibile, perché ogni ora, ogni minuto del giorno, pesava sulla sua anima, come una pietra tombale.
Nell’ultimo periodo di detenzione, fu tutto molto diverso ebbe anche la possibilità di avere e leggere molti libri, il primo, lo divorò in una sola notte. Il giorno dopo cercò di spezzare le catene che aveva ai polsi, dopo aver salutato tutti i detenuti presenti nel campo, Fedor andò in fucina per farsi spezzare le catene e l’ultimo simbolo di libertà perduta. Dichiarando, che la libertà è una nuova vita e la resurrezione dei morti.
In questo periodo il castello Robol’sk, è stato chiuso nel 1989, oggi è aperto alle visite dei turisti trasformato in Museo.
Anna Sciacovelli